Armi ai kurdi, il fantasma libico
Era estate anche allora, i parlamentari avevano fretta di andare in vacanza e il governo cercava di infilare quante più cose poteva in leggi-omnibus. Ma c’era chi vigilava. La deputata Mogherini nella seduta della Camera del 28 luglio 2009 e la senatrice Pinotti nella seduta del Senato dell’1 agosto dello stesso anno votarono entrambe contro la proposta di legge (n.1715) dei deputati Edmondo Cirielli (Pdl) e Stefano Stefani (Lega).
La proposta di legge avrebbe potenzialmente dato al governo il controllo sulle armi sequestrate nel ’94 sulla Jadran Express, una nave diretta in Croazia con un enorme carico illegale di armi e munizioni destinate alla guerra in Bosnia. Con Mogherini e Pinotti votarono contro quasi tutti gli altri parlamentari del Pd e, se avessero vinto, il governo sarebbe stato costretto a dare finalmente esecuzione a un ordine della magistratura di qualche anno prima che intimava la distruzione di quelle armi illegali, custodite nei bunker dell’isola di Santo Stefano alla Maddalena. Non bastò. La destra vinse e il decreto divenne la Legge 108 del 3 agosto 2009 che, all’articolo 5, comma 3, stabiliva:
«3. Le armi, le munizioni, gli esplosivi e gli altri materiali di interesse militare sequestrati e acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca dell’autorità giudiziaria possono essere assegnati al ministero della difesa per finalità istituzionali, con decreto del ministro della giustizia, di concerto con i ministri della difesa e dell’economia e delle finanze[…]. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle armi, alle munizioni, agli esplosivi e agli altri materiali di interesse militare per i quali, anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, è stata disposta ma non ancora eseguita la distruzione».
Secondo le dichiarazioni registrate dalla stampa il 21 agosto, il premier Renzi, la ministra degli Esteri Mogherini e della Difesa Pinotti si riferirebbero paradossalmente proprio a quella legge, a cui si opposero, per sostenere il diritto a utilizzare quell’arsenale, mandarlo all’Iraq e forse ai miliziani kurdi. Oltre alle ragioni contro l’invio, costituzionali e logiche, esposte da Tommaso Di Francesco il 19 agosto su queste colonne, si possono aggiungere tre altre importanti ragioni.
1. La prima è di carattere militare: quelle armi e munizioni sovietiche, qualche centinaio di razzi e un po’ di missili guidati anti-carro degli anni 70 e 80, non avranno alcun rilievo strategico nella bilancia di quella situazione bellica, come ognuno può constatare dal conto dettagliato che ne diedi in un articolo su Altreconomia nel 2011. «Ragionevole» o irragionevole che sia quell’invio, esso è prima di tutto militarmente inutile e in più espone l’Italia a diventare bersaglio possibile di vendette dell’Isis o dei suoi alleati.
2. La seconda, più importante, è relativa alla gravissima manomissione di una prova della possibile violazione dell’embargo Onu (Risoluzione del 26 febbraio 2011) sulle armi alla Libia da parte dell’Italia, proprio mentre — e forse non a caso — gli esperti dell’Onu vi stanno indagando.
Si ricorderà infatti che, secondo rivelazioni di stampa, tra il febbraio e il maggio 2011, il premier Berlusconi, il ministro della Difesa La Russa e il capo di stato maggiore, il generale Abrate, avrebbero approvato l’invio di parte di quelle armi ai miliziani libici anti-Gheddafi e il governo avrebbe poi imposto il segreto di stato per impedire la prosecuzione di una inchiesta della magistratura di Tempio Pausania sull’accaduto.
Quelle armi — si sospetta — dovevano servire non già a qualche forza d’interposizione per proteggere i civili contro l’esercito libico (teoricamente consentita — previa comunicazione al Consiglio di sicurezza — dalla risoluzione Onu del 17 marco 2011), ma più prosaicamente a far (ri)guadagnare all’Eni di Scaroni la «simpatia» e i contratti energetici dei futuri padroni di Bengasi e Tripoli (ampi fornitori di armi all’Isis e ad altri gruppi in Siria tra la fine del 2011 e il 2013, con l’aiuto dei servizi segreti «occidentali»), con gli esiti che conosciamo.
3. La terza ragione è che di quelle armi né il governo Berlusconi nel 2011, né quello di Renzi oggi, potevano disporre automaticamente: il dettato della legge del 2009 che abbiamo riportato all’inizio non dà affatto carta bianca ai governi, ma autorizza il ministero della Difesa a disporre delle armi sotto sequestro solo in presenza di un decreto «del ministro della giustizia, di concerto con i ministri della difesa e dell’economia e delle finanze». Di un tal decreto non vi è alcuna traccia pubblica.
I kurdi e l’avanzata dell’Isis non c’entrano niente con l’invio di quelle armi. C’entrano invece le stellette Nato/belliche che la ministra Mogherini deve guadagnarsi per la corsa al dubbio onore di guidare le nuove avventure umanitario-petrolifere dell’Unione Europea e, insieme, un grosso favore da fare a Berlusconi per evitare a lui e all’Italia una possibile condanna Onu per la Libia.
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