by redazione | 14 Luglio 2014 10:21
SOTTO l’Hindu Kush come in Africa, Malala Yousafzai non ha paura dei fanatici. Oggi la ragazza più coraggiosa del Pakistan compie 17 anni, ma è in Nigeria, a testimoniare per il mondo, perché non dimentichi che da tre mesi duecento coetanee nigeriane sono in mano agli integralisti di Boko Haram. «Mi sento sorella delle ragazze rapite», ha detto ai familiari, suscitando occhi lucidi e singhiozzi: «Posso capire quello che state soffrendo. È duro per un genitore sapere che la figlia è in pericolo grave. Il mio desiderio di compleanno quest’anno è che le ragazze tornino a casa, continuerò a battermi fino a che non saranno liberate».
La giovane, sopravvissuta alla pallottola che i Taliban le spararono in testa proprio perché era diventato un simbolo dell’aspirazione femminile all’emancipazione e all’istruzione, ha deciso di sfruttare la sua celebrità per ravvivare l’attenzione sulle ragazze. Nelle prossime ore incontrerà il presidente nigeriano Goodluck Jonathan, anche per stimolare il governo di Abuja che nei mesi passati non ha brillato per iniziativa. Ma al di là dell’attenzione, e del sostegno promesso ma finora non concretizzato dai paesi occidentali ad Abuja per recuperare le studentesse, l’offensiva integralista in Nigeria sembra diventare sempre più preoccupante.
Proprio nelle ore in cui Malala parlava ai familiari delle ragazze, Boko Haram rilasciava su internet un nuovo video. Visto che lo slogan della campagna internazionale era “ Bring Back Our Girls ” (Riportateci le ragazze), il leader degli integralisti Abubakar Shekau si è esibito a canticchiare “ Bring Back Our Army ” (Riportateci il nostro esercito), riferendosi con tutta probabilità ai guerriglieri detenuti nelle carceri nigeriane. Già in passato Shekau aveva proposto lo scambio fra i suoi uomini e le giovani prigioniere, offerta a cui il governo nigeriano non ha dato risposta univoca, di volta in volta respingendo ogni trattativa o “aprendo” a soluzioni umanitarie.
Nel nuovo video Abubakar Shekau ha mandato la sua benedizione ad Abu Bakr al Baghdadi, leader dell’Isis, come ad Ayman al Zawahiri e al mullah Omar, alla guida di Al Qaeda e dei Taliban. Shekau ha anche rivendicato l’attacco con tre kamikaze a un deposito di
carburante ad Apapa, il porto di Lagos, lo scorso 25 giugno. L’attività del gruppo è in crescita anche nella metropoli più popolosa e nella capitale Abuja: nel mirino sono soprattutto i trasporti. A Lagos le autorità hanno preferito non diffondere le notizie dell’attentato, attribuendo in un primo momento le esplosioni a una bombola di gas.
Persino a Owerri, nel delta del Niger, una bomba difettosa è stata ritrovata e disinnescata in una chiesa pentecostale: gli analisti non escludono che Boko Haram possa arrivare anche in questa regione.
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