Ttip, uno scoop di Repubblica
Repubblica ha fatto uno scoop: ci ha avvertito, il 21 luglio, con un articolo di Federico Rampini pubblicato in prima pagina, che l’Europa è minacciata da un oggetto misterioso, il Ttip, di cui nessuno sa niente e invece occorre occuparsene.
Il nome non è nemmeno un nuovo acronimo difficile da capire, ma una sigla leggibilissima: Transatlantic Trade and Investment Partnership. Ma sembra che nessuno ne avesse sentito parlare prima.
In qualche modo Rampini ha ragione a lanciare da New York l’allarme: di questo Trattato, che pure è la cosa più grave di cui si sta occupando la Commissione Ue da oltre un anno, la stampa italiana non aveva mai fino ad ora parlato.
E, quel che è più singolare, neppure un accenno vi aveva fatto uno qualsiasi dei nostri giovani ministri, per non dire del primo fra loro, sebbene a Bruxelles vada ormai ogni due giorni e sembra sia lì il domino del dibattito politico europeo.
Peccato che ministri e direttori di giornale, per non dire di Tv, leggano così poco. Peccato non leggano il nostro giornale e non facciano attenzione a quanto dicono le minoranze che stanno all’opposizione: Repubblica avrebbe evitato di far passare per una rivelazione un argomento su cui da mesi e mesi continuiamo a fornire notizie dettagliate: sul Trattato, sui segreti che ne accompagnano la negoziazione, sul procedere della sua elaborazione, sull’estrema gravità delle sue conseguenze.
Quanto al governo, si capisce: è così preoccupato di andare in fretta che non può accorgersi di quello che pure sta sulla sua strada. Purtroppo anche con lo scoop di Repubblica di chiarezza se ne è fatta poca. Gli ostacoli alla liberalizzazione degli scambi che il Ttip dovrebbe rimuovere non solo non sono tariffari (ormai liquidati da tempo), e neppure solo causati dalla difformità dei regolamenti.
Si tratta di ben altro: di eliminare larga parte dei diritti acquisiti dai lavoratori e delle protezioni ambientali notoriamente in Europa molto più ampi che negli Stati uniti, con ciò dando l’ennesimo colpo al modello sociale europeo che pure avrebbe dovuto rappresentare la ragion d’essere della costruzione comunitaria se non si voleva si trattasse solo di un pezzo come un altro del mercato globale.
Così, oltretutto, lanciando un’ipoteca pesante sul futuro, giacchè ogni eventuale ulteriore conquista normativa in campo sociale o ecologico potrebbe essere denunciata dagli investitori d’oltreoceano come una illegittima sottrazione alle loro aspettative di profitto; e per questo da rimborsare. A deciderne non un tribunale, ma un foro privato di avvocati.
Altrettanto ignorato, in Italia, fu il precedente tentativo operato per raggiungere questo risultato alla fine degli anni ’90. Si trattava, allora, dell’Ami (Accordo multilaterale sugli investimenti) e doveva esser concordato in seno all’Ocse.
Fallì, per fortuna, grazie ad una larghissima mobilitazione, quella chiamata «la prima guerriglia on line». Anche di questa pagina di storia, difficile trovare anche solo una riga sulla stampa “che conta”, o un’eco nelle riflessioni dei nostri governi.
Che dire? Leggete Sbilanciamoci – il primo speciale «Sbilanciamo l’Europa», del 24 gennaio, era dedicato proprio al Ttip — e, naturalmente, il manifesto.
Related Articles
Tsunami anti-sovranista in Svizzera, dove avanza il Verde
Elezioni. Exploit senza precedenti degli ecologisti di sinistra. Cala la destra anti-Ue e anti-immigrati
Riders, processo alla multinazionale. Foodora condannata in appello
Ai sei facchini riconosciuti i diritti del contratto collettivo. Reintegro respinto
Comprare Btp, tanti sì alla campagna «Ma servono anche le riforme»