by redazione | 21 Luglio 2014 9:09
Erano ventinove, l’altro ieri, gli africani morti soffocati nella stiva della barca strapiena di migranti. Tutti africani neri considerati gli ultimi della terra e nemmeno sulle carrette del mare specializzate in viaggi della disperazione vige una qualche parvenza di parità: c’è, infatti, chi viene trattato più da bestia degli altri e finisce nel vano motore con la botola ermeticamente chiusa sopra la sua testa. Nel frattempo i morti sono diventati trenta perché un altro, pur tratto in salvo su una nave, non ce l’ha fatta.
Abituati come siamo alla conta, quasi quotidiana, delle vittime della traversata, una in più o una in meno difficilmente, ormai, riesce a toccarci il cuore, perché la pietà può anche essere tanta per la nera umanità senza nome partita e mai arrivata, tanta ma non infinita. È, infatti, la pietà, come le lacrime che, pur nel dolore più grande, a un certo punto, inevitabilmente, si esauriscono. E piano piano si affonda nell’indifferenza, come se fosse sabbia mobile.
Poi si viene a sapere che il trentesimo morto è un bambino di un anno appena, e d’improvviso si ha l’impressione che quel piccolissimo migrante non conti per uno soltanto nella macabra, mortifera, quotidiana lista, bensì, per dieci, per venti o anche per molti di più, andando così a risvegliare non soltanto la nostra sopita pietà, ma anche l’indignazione e il senso di assoluto, bruciante scandalo.
Scandalo e indignazione perché quali altri sentimenti può suscitare la morte di un esserino che rappresenta un concentrato di speranza, prima di tutto, naturalmente, per il suo puro essere bambino, ma poi anche in quanto profugo da una vita impossibile verso una forse un poco più facile e più possibile? Quella piccola, trentesima, inutile vittima diventa, in un certo senso, il simbolo del nostro fallimento: di tutti quanti noi che, mentre discutiamo, senza trovare soluzioni, dell’immane problema dell’immigrazione, mentre ci litighiamo, tra nazioni europee, su chi dovrebbe farsi carico della disperata umanità che approda nei Paesi più facilmente raggiungibili, non riusciamo, nel frattempo, malgrado l’impegno spesso eroico e la sicura buona volontà dei soccorritori, a evitare che, chissà se nella stiva dei neri o, invece, in coperta tra i viaggiatori soltanto un po’ meno sfortunati, muoia un bambinetto di un anno.
Certo il piccolo del quale, forse, non sapremo mai il nome, non è stato il primo: non abbiamo i conti di quanti lo hanno preceduto e ancora tanti, purtroppo seguiranno il suo destino. Difficile, tuttavia, non pensare a lui, non memorizzare il suo immaginario volto di trentesima vittima, minuscola pedina che, aggiuntasi alle altre ventinove cadute, diversamente, però, pesa sul cuore.
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