Le stime del Tesoro sui conti. I timori per la crescita zero

Le stime del Tesoro sui conti. I timori per la crescita zero

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ROMA — Ieri anche il presidente del Consiglio ha escluso, in un’intervista al quotidiano Avvenire , una manovra aggiuntiva nel 2014. Lo stesso Matteo Renzi non ha negato però che il Prodotto interno lordo crescerà meno del previsto anche se, ha aggiunto, «non è una peculiarità italiana, ma di tutta l’eurozona». La situazione, ha concluso, è incerta, difficile da interpretare, «non c’è un temporale, ma non c’è neanche il sole: è un po’ come questa estate». Vediamo allora di mettere insieme le tessere di questo puzzle a sorpresa.
La crescita che non c’è
È la grande assente. Il quadro che si sta delineando per il governo è l’opposto di quello atteso: un Pil che nel 2014 si avvicinerà più allo zero che all’1%. La correzione delle stime iniziali che vedevano il Prodotto interno lordo in aumento dello 0,8% avverrà a settembre ma non in aumento, come sperava il governo ad aprile quando varò il bonus da 80 euro, ma in forte riduzione. Magari non fino allo 0,2% stimato dalla Banca d’Italia, ma probabilmente la nuova previsione non supererà il mezzo punto: i calcoli verranno fatti dopo il 6 agosto quanto l’Istat diffonderà il dato sull’andamento del Pil nel secondo trimestre. Un Pil più basso determinerà un peggioramento dei saldi di finanza pubblica. Il deficit, ora previsto al 2,6% del Prodotto interno lordo, si avvicinerà al 3%, limite invalicabile secondo le regole europee. Il debito pubblico salirà oltre il 134,9% del Pil e se nel 2015 non verrà ridotto, l’Italia rischierà l’apertura di una procedura europea per debito eccessivo. Problemi ci saranno anche sul fronte del cosiddetto «pareggio strutturale di bilancio», che l’Italia prevede di conseguire nel 2016 e che verrà messo a rischio dalla stagnazione del Pil. Qui la Commissione europea potrebbe contestare il mancato rispetto del Fiscal compact e chiedere un rafforzamento della manovra 2015 che, a bocce ferme, si annuncia già tra i 20 e i 25 miliardi. Il governo si difenderà dicendo che lo stesso Fiscal compact prevede che il pareggio di bilancio sia al netto del ciclo economico, e non c’è dubbio che esso sia peggiorato.
L’inflazione zero virgola
È l’altra grande assente. Sembra strano doversi lamentare del fatto che i prezzi non aumentino, ma secondo gli esperti e lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ci sono buone ragioni per farlo. È vero il potere d’acquisto dei consumatori beneficia dei prezzi fermi. Ma i conti pubblici peggiorano e ciò può determinare manovre che alla fine verrebbero pagate sempre dai cittadini. Certo nessuno vuole prezzi galoppanti, ma se l’inflazione fosse non lo 0,3% come a giugno, ma più vicina al 2% considerato dalla Banca centrale europea il livello da non superare, il Pil nominale ne risulterebbe aumentato e ne beneficerebbero i tassi d’interesse reali (cioè al netto dell’inflazione) pagati sul debito. La stessa Bce, un paio di settimane fa, ha detto che con le misure di politica monetaria espansiva lanciate a giugno i tassi di inflazione aumenteranno progressivamente «in prossimità del 2%». Padoan aspetta fiducioso.
Privatizzazioni al palo
La vendita di aziende pubbliche è la terza grande assente. Questa volta per responsabilità prevalentemente italiane. Qui il governo è oggettivamente in affanno. Il Def, Documento di economia e finanza, prevede infatti che da questa voce debbano entrare circa 11 miliardi di euro l’anno (lo 0,7% del Pil) già dal 2014, che dovrebbero andare a riduzione del debito. Il Consiglio dei ministri ha avviato con due Dpcm il processo di privatizzazione del 40% di Poste e del 49% di Enav, l’ente di assistenza al volo. Da queste due operazioni dovevano arrivare 5-6 miliardi (di cui 4-5 dalle Poste), ma almeno per le Poste lo slittamento al 2015 è sicuro. I mercati si interrogano. Ieri il quotidiano della City, il Financial Times , ha sottolineato il ritardo delle privatizzazioni, sul quale ha pesato anche la deludente operazione Fincantieri, dove l’incasso è stato di appena 350 milioni di euro contro i 600 previsti. È vero, la scorsa settimana Padoan, in missione a Pechino, ha annunciato un accordo per la cessione alla cinese State Grid del 35% di Cdp Reti, la società della Cassa depositi e prestiti nata per controllare Snam (gas) e Terna (trasmissione dell’energia). Dall’operazione dovrebbero entrare due miliardi. Ma, come dice anche il Financial Times , per conseguire l’obiettivo degli 11 miliardi entro la fine dell’anno il governo non sembra avere alternative alla vendita di ulteriori quote (fino al 5%, si ipotizza) di Eni ed Enel.
Che fare?
Il quadro internazionale e interno è insomma peggiorato. Non solo per l’Italia, ripete Renzi. Consapevole però che da un lato bisogna accelerare le riforme, comprese quelle istituzionali, e dall’altro ottenere un maggior impegno dell’Europa sulla crescita. Per quanto il premier corra, il governo è in ritardo rispetto ai suoi stessi obiettivi. Nel Def, per esempio, si stimava prudentemente che dalla riforma del lavoro e dalle semplificazioni e liberalizzazioni sarebbe venuto un aumento del Pil nel 2014 dello 0,3%. Ma, solo per fare un esempio, l’esame parlamentare della delega sul lavoro è slittato a settembre. Tardano anche gli effetti sui consumi del bonus da 80 euro mentre se si dovessero rispettare gli impegni di spending review per il 2015 (17 miliardi di tagli) e per il 2016 (32 miliardi) lo stesso Def stima un impatto negativo sulla crescita dello 0,2% l’anno prossimo e dello 0,3% quello dopo. Effetti che dovrebbero essere più che compensati, nei piani del governo, dal decollo dei consumi dovuto alla stabilizzazione del bonus e dalla ripresa dell’occupazione. Ma, a questo punto, la prudenza è d’obbligo. Insomma, a settembre il governo rischia non tanto di dover «aggiornare» il Def, ma di doverlo «riscrivere».
Enrico Marro



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