«Le sofferenze? In Italia pari al doppio della Ue Ma gli istituti sono più solidi di quelli tedeschi»

by redazione | 11 Luglio 2014 11:26

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Le maggiori banche italiane sono «pronte» per la prova europea, cioè il doppio esame di asset quality review e stress test che si concluderà in autunno. Dopo severe pulizie di bilancio e ricapitalizzazioni, si presentano «piazzate» meglio di diversi altri big continentali, in particolare tedeschi. È lo scenario che sembra configurare l’ultima indagine R&S-Mediobanca sulle principali banche internazionali.
Il rapporto prende in considerazione i supercolossi mondiali del credito. Numero uno è Jp Morgan Chase, con un totale attivo pari a 2.560 miliardi di euro), seguita dalla Bank of America (2.157 miliardi) e dall’inglese Hsbc (2.145 miliardi). Nella graduatoria dei primi 28 istituti i due più grandi italiani sono Unicredit, al diciassettesimo posto con 846 miliardi e Intesa Sanpaolo, ventunesima con 626 miliardi. L’analisi, arrivata all’undicesima edizione, ha questa volta un focus di particolare interesse in vista appunto dell’esame delle authority europee. Come sono posizionati i nostri big? Per rispondere vengono sottolineati anzitutto i punti di forza e di debolezza rispetto alla media europea. Tra i primi vengono elencati l’elevato capitale regolamentare (il core tier 1 o meglio il common equity tier secondo Basilea 3) pari al 10,9% contro il 10,5% che ci piazza al secondo posto dietro gli svizzeri, che «vantano» un 11,4% e ben più avanti delle banche francesi (9,8%) e tedesche (9,4%); il grado ridotto di speculazione (cioè il rapporto fra gli strumenti finanziari illiquidi sui mezzi propri) pari al 16,7% contro il 24,4%; l’elevata copertura dei crediti dubbi, al 53,6% contro il 45,3%; l’efficienza, che si misura con il rapporto fra costi e ricavi pari al 67,5% contro il 68,8%; la bassa incidenza dei cosiddetti «intangibles», gli attivi immateriali e quindi anzitutto gli ammortamenti, che sempre sui mezzi propri pesano per il 13,5% contro il 16,5%; infine la bassa leva, che si misura con il rapporto fra totale attivo e capitale netto, pari a 17,7 volte rispetto a una media di 23,6.
I punti di debolezza rappresentano per certi versi l’altra faccia della medaglia. Perché viene citata anzitutto la redditività (il roe, il ritorno sul capitale) nel 2013 negativa e pari a -16,9% contro una media europea positiva e pari all’1,5%: ma è stata proprio la pulizia di bilancio con le ingenti svalutazioni a portare a questo risultato. Altri punti deboli sono invece i crediti dubbi al 79% sui mezzi propri contro una media europea del 37%, e un nutrito portafoglio di titoli di Stato appartenenti ai Paesi più «deboli» dell’area (i Giips) dal 2011 l’ammontare è cresciuto da 98,4 miliardi a 152,2, il 10% dell’attivo e 1,8 volte i mezzi propri. Anche in questo caso va però fatta una considerazione: per il 98,9 % si tratta di bond italiani, così come per le banche spagnole la quota in propri titoli governativi è 87%.
In sintesi in base a un set di 13 indicatori di bilancio le maggiori banche italiane hanno un posizionamento «mediano»: sono precedute da olandesi, spagnole e francesi, ma «battono» gli istituti inglesi, svizzeri e tedeschi. In base agli stessi indicatori poi le banche europee meglio classificate sono la svedese Nordea, l’inglese Hsbc, l’olandese Rabobank , la spagnola Bbva e la francese Bcpe.
Il rapporto di R&S-Mediobanca traccia poi un quadro aggiornato della situazione dei big mondiali del credito, che è poi una fotografia post fallimento Lehman nel 2008. Prima di tutto indica il «conto» per le maggiori banche. Dal 2011 la crisi è costata alle europee 137 miliardi di euro e e a quelle statunitensi 63 miliardi di dollari: in Europa la maggior parte di questi oneri deriva da svalutazioni (98 miliardi) mentre negli Usa da costi di «litigation» (52 miliardi), cioè in sostanza di cause e controversie legali. Di grande interesse è poi il bilancio più recente degli aiuti governativi alle banche dal 2008 al 2013. Negli Stati Uniti sono stati pari a 2.853 miliardi di dollari e hanno riguardato 1.402 istituti. Da questa maxi-cifra vanno però sottratti i sostegni restituiti o scaduti, che portano a un «netto» di 2.043 miliardi di dollari. In Europa il «lordo» è anche superiore, pari a 3.166 miliardi di euro distribuiti però su un numero di istituti di gran lunga inferiore, 480, ma il conto «netto» si ridimensiona molto a 986 miliardi. I maggiori aiuti di Stato lordi hanno riguardato Gran Bretagna, 1.213 miliardi di euro, Germania per 446 miliardi, Spagna 268, Irlanda 260, Belgio 243.
Altri indicatori significativi riguardano attivi e occupazione. Dal 2011 l’attivo delle banche europee si riduce dal 235 al 200% del Pil, mentre quello delle banche Usa passa dall’86 al 72%. Nel 2013 le due maggiori banche tedesche (Deutsche bank e Commerz) pesano sul Pil meno delle due big italiane: 79% contro 94%. Crollano i derivati: in Europa del 36% passando dal 56 al 22% del Pil, negli Usa del 39% dove si riducono sul Pil dal 32% al 18%. I crediti nel 2012 calano in Europa del 3,7% (sul Pil dal 56 al 53%) mentre aumentano Oltreoceano dell’1,2% (restando stabili sul Pil al 23%). Cala anche l’occupazione: in Europa del 7,5% e negli States dell’1,9%.
Infine uno sguardo al primo trimestre di quest’anno. In Europa i ricavi calano del 3,7% e il risultato netto del 5,4%, mentre diminuiscono del 24,7% le perdite su crediti. Più o meno simile il quadro Usa: in discesa i ricavi del 3,7%, il risultato netto del 5,5%, e le perdite su crediti del 29,9%. Le italiane? Vanno meglio, con ricavi stabili, utili in aumento del 61% e le perdite su crediti in calo del 18%.
Sergio Bocconi

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