Si fa presto a dire volontari. Ma nessuno sa davvero chi e quanti sono

by redazione | 15 Luglio 2014 17:17

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ROMA – C’è chi dice che sono quattro milioni, ma altri arrivano a sette e qualcuno si spinge oltre fino a contarne tredici. Tre volte tanto. Lavoro difficile, quello di contare le persone che nel nostro paese fanno volontariato: ci ha provato l’Istat, ci ha provato il Censis, ci hanno provato nel corso degli anni moltissimi istituti di ricerca (Doxa, Abacus, Eurisko) ma il risultato molto spesso non è stato dei migliori. Colpa della difficoltà di definire con precisione il ruolo e le caratteristiche del volontario (sembra una cosa facile, ma in effetti non lo è), ma colpa anche degli errori, talvolta grossolani, attuati dai ricercatori che fra campioni sbagliati e vere e proprie follie statistiche ci hanno più volte messo del loro. Morale della favola: in ogni caso, ma a maggior ragione quando parlate di volontariato e più in generale del mondo non profit, non fidatevi dei numeri, che “non parlano mai da soli” e comunque vanno studiati, valutati, capiti e interpretati.

Il consiglio di Renato Frisanco, ricercatore della Fondazione Roma–Terzo settore (che al recente seminario “Miseria e nobiltà” organizzato di recente a Roma da Redattore sociale ha presentato una relazione proprio su questo tema) trova un richiamo all’attualità proprio nei giorni in cui il governo sta per presentare la legge delega che dovrebbe portare ad una riforma complessiva del terzo settore. Buona parte del problema – che se può consolare non è solo italiano, visto che anche oltreconfine i problemi nella definizione del volontario e del volontariato sono notevoli – sta proprio nella grande confusione lessicale che sia i mezzi di comunicazione sia gli istituti di ricerca contribuiscono ad alimentare. L’ultimo esempio, a suo modo eclatante, l’hanno fornito quei media che hanno presentato come “volontariato” l’impegno che Silvio Berlusconi affronta presso la struttura per malati di Alzheimer di Cesano Boscone, cioè quella che è a tutti gli effetti una misura alternativa alla detenzione. Un’esperienza dai molti significati, ma che certamente “volontaria” non è.

IL VERO VOLONTARIO
Il volontario, quello vero, è invece chi si fa carico in modo gratuito di qualcun altro o di un qualcosa che è un bene comune: ha in sé cioè sia l’aspetto della gratuità sia quello della solidarietà.
Primo aspetto, la gratuità: il volontario non è pagato, non percepisce alcuna remunerazione (salvo eventuali rimborsi spese documentati) e dona il proprio tempo e la propria competenza per fare qualcosa di utile per gli altri, per la comunità, per l’intera umanità. E’ in una relazione non strumentale ma autentica, tale da fondare condivisione e reciprocità. Il volontario è uno che fa dono di sé agli altri: ci mette se stesso, non ci mette solamente qualcosa che ha. Ecco perchéquando offro semplicemente del denaro faccio filantropia, non volontariato.
Ma la gratuità non è il solo fondamento etico del volontariato: c’è anche – ecco il secondo aspetto – la solidarietà, che vuol dire che l’attività è svolta a favore di terzi. Si chiama “esternalizzazione dei benefici della propria azione”, un modo un po’ tecnico per dire che il “vero” volontario persegue l’interesse generale, quello della collettività intera, e non quello di un pur legittimo interesse comune degli associati ad una determinata realtà. Per intenderci, non sono un volontario “doc” se la mia azione – pur gratuita – si rivolge solamente ai soci della bocciofila che frequento, o agli iscritti alla mia società sportiva dilettantistica, o ai fan del Club Juventus ai quali mi onoro di appartenere.

NE’ COOPERANTI NE’ SERVIZIO CIVILE
Per questi motivi – anche se spesso vengono così identificati – non sono volontari né i giovani del servizio civile volontario né i cooperanti nei progetti di solidarietà internazionale: i primi fanno certamente un’esperienza dell’effettivo valore civico, ma percepiscono un compenso e quindi non operano in un contesto né di gratuità (non “dono”, ma semmai “scambio”) né di spontaneità (visto che accedervi, dato il ristretto numero di posti, non è affatto semplice); i secondi pur svolgendo un’attività di utilità sociale altamente responsabile, operano nel ruolo di professionisti remunerati e confonderli con la figura ben distinta del volontario fa torto ad entrambi. E’ certamente un volontario, invece, il dentista che trascorre le ferie a sue spese in un villaggio africano per assicurare ai suoi abitanti, e senza alcun compenso, le cure dentarie di cui hanno bisogno.

MA QUANTI SONO?
In mezzo a tutte queste precisazioni, capire il numero effettivo di quanti fanno “vero” volontariato è evidentemente complesso: tutti i principali istituti di ricerca se ne sono occupati ma lo hanno fatto senza condividere un metodo, una delimitazione di campo e una definizione. Il dato che Frisanco ritiene “più vicino alla realtà” è quello di Istat Multiscopo 2010, per cui ha fatto volontariato (riferimento temporale gli ultimi 12 mesi) il 10% dei cittadini almeno 14enni, cioè poco più di sei milioni di persone (campione statistico di 24 mila famiglie, rappresentatività territoriale basata su 900 comuni).
Va però detto che nella Multiscopo sono considerati volontari anche i donatori di sangue (che normalmente non sono considerati tali) e anche coloro che rivestono cariche sociali non remunerate in organizzazioni di vario tipo. Insomma, anche questi numeri vanno presi con le pinze (e non a caso la ricerca non riesce a definire il dettaglio dell’attività di un “volontario” su due).

Grafico rilevazioni nazionali sulla partecipazione volontaria - 1997/2010

FRA STATISTICA E SPETTACOLO
Di buono la Multiscopo Istat ha la progressione nel tempo: la stessa rilevazione del 2001 arrivava a contare più di quattro milioni di volontari, quella del 1997 si fermava a 3 milioni 600 mila. Numeri più alti da parte di Eurisko-Iref: poco sotto i sei milioni già nel 1999, poi oltre i sette milioni nel 2002 per tornare appena sotto i sette milioni nel 2006. Passando da un metodo di rilevazione ad un altro i numeri sono sempre estremamente ballerini. Nel Censimento delle istituzioni non profit 2011 ancora l’Istat conta 4,7 milioni di volontari, ma lo fa considerando solo uno dei due aspetti citati sopra (la gratuità, non la solidarietà): i veri volontari, insomma, dovrebbero essere molti di meno…

Alle difficoltà si aggiungono gli errori eclatanti, come quello del Censis, che basandosi su un semplice sondaggio telefonico a 500 cittadini laziali e 800 di altre regioni operava, partendo da dati non statisticamente rappresentativi della popolazione, una banalissima proiezione arrivando alla cifra di oltre 13 milioni di volontari attivi in Italia (2009). Roba da dilettanti della statistica per una ricerca che Frisanco bolla come “statistica-spettacolo”, un caso in cui al rigore scientifico vengono sopravanzate altre considerazioni di carattere opportunistico, come l’eco mediatica che un dato così roboante è capace di garantire.

IN EUROPA OGNUNO CONTA COME VUOLE
I numeri ballano anche in Europa: in occasione dell’anno europeo del volontariato (2011) sono stati organizzati molti convegni di confronto delle esperienze internazionali: in Germania si è parlato di 30 milioni di volontari, in Francia di 14 milioni, in Svezia di 10 milioni (cioè del 53% della popolazione), salvo poi constatare che nella cifra erano compresi anche gli iscritti ai partiti politici o ai sindacati, o che nell’Europa del nord è considerato volontariato anche l’aiuto ai genitori anziani, che invece nel sud Europa viene considerato sostegno primario familiare.
Con questi criteri è ovvio che il numero dei (supposti) volontari in altri paesi europei superino di gran lunga le stime italiane. Non c’è nessuno “spread sociale” fra Italia e altri paesi europei – conclude Frisanco – ma solo definizioni molto diverse di volontariato. Se ne può trovare una comune? Forse sì, quando sarà realizzata quella “Carta europea del volontariato”, già annunciata in occasione dell’anno europeo 2011, che a distanza di tre anni è ancora in fase di elaborazione. (ska)

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