by redazione | 11 Luglio 2014 9:16
«Il rapporto tra le intelligence di Paesi amici ricorda quello di una coppia. Marito e moglie si raccontano il 99% delle cose, lasciano fuori l’1%. Ed è proprio quel piccolo segreto che interessa alla spia alleata». Il paragone è di un ex agente italiano, per nulla stupito del clamore di queste ore. Anche perché in questo mondo non ci si scambiano gentilezze.
Metà anni 90, Roma. Gli uomini del nostro servizio segreto militare si accorgono che la Cia a Roma ha invaso il loro orto. Il capo stazione dell’agenzia è stato beccato mentre cerca di agganciare la segretaria dell’ambasciatore libico. Uno sgarbo grave: la donna già collabora. Ma con gli italiani. Al funzionario americano non resta che fare i bagagli e tornarsene negli Stati Uniti. È la regola non scritta, applicata dozzine di volte contro i sovietici, ben poco contro gli alleati. Ma neppure loro sono immuni.
In questo campo le prendi e le dai. È ancora aperto il caso di Jonathan Pollard, pedina preziosa degli israeliani negli apparati di sicurezza statunitensi, un infiltrato capace di sottrarre pile di documenti. Un lavoro «dietro le linee» condotto fino al novembre del 1985, quando l’Fbi arresta Pollard. Scandalo enorme, con il finto sdegno «per un amico che sorveglia un amico». Caso diplomatico e politico che continua a far litigare i due governi. Israele, testardo, ha chiesto a Washington il favore di liberare la spia, ma dalle rive del Potomac sono arrivati solo «vedremo» e tanti no.
Un anno dopo, ancora Roma. Questa volta l’attore protagonista è Aldrich Ames, uomo Cia nella capitale. Da tempo collabora con il Kgb. Li aiuta in modo determinante, fornendo le identità di tanti agenti «coperti» oltre cortina. Uomini che faranno una brutta fine. Nel mondo delle ombre si racconta che, casualmente (o forse no), il Sismi osserva Ames mentre incontra una spia russa. Pensano che l’americano sia impegnato in una missione di reclutamento, non sospettano che si tratta invece di uno dei contatti regolari mantenuti dal traditore.
È un duello dove strategia e psicologia vanno a braccetto. L’elemento umano è fondamentale per conquistare la fiducia, l’aspetto personale può essere il punto debole attraverso il quale entrare. Esemplare la storia di Robert Ames, brillante funzionario della Cia in Medio Oriente. Grande visione, passione per il mondo arabo, l’agente combatte e dialoga con il nemico. Come dicono all’epoca: «Mangiamo la zuppa insieme al diavolo ma noi usiamo un cucchiaio molto più lungo». Traduzione: stiamo attenti a non bruciarci. Ames crea un rapporto diretto con il palestinese Hassan Salameh, il «principe rosso», molto vicino a Yasser Arafat. I due avviano un dialogo – storico – tra gli Usa e l’Olp. I vertici della Cia sono perplessi. Pensano che Ames sia un idealista, poco concreto, che sogna di essere Lawrence d’Arabia. Gli rimproverano di mantenere i contatti senza essere riuscito a reclutare Salameh. C’è poi il problema con gli israeliani, contrari a qualsiasi apertura nei confronti di Arafat e decisi a eliminare Salameh, un bersaglio vivente per i suoi legami con Settembre nero. In più di un’occasione il Mossad chiede agli americani: «Salameh è un vostro uomo?». Da Langley non rispondono. Se confermano sanno che il giorno dopo la notizia trapelerà, se negano non gli garantiranno protezione.
Il «romanzo» finisce male. Hassan Salameh sarà ucciso da un’autobomba il 22 gennaio 1979 in una via di Beirut, operazione attribuita proprio al Mossad. Robert Ames perderà la vita nell’attentato contro l’ambasciata Usa a Beirut, il 18 aprile 1983. Un’azione attribuita al terrorismo sciita libanese in collaborazione con i servizi segreti di Siria e Iran. Ora in un libro appena uscito si sostiene che la mente dell’attacco, il generale iraniano Asgari, vivrebbe sotto la protezione della Cia dopo aver abbandonato il regno degli ayatollah. Ricostruzione negata con forza da Washington in una vicenda dove i profili dei protagonisti cambiano a seconda del tempo.
E questo aiuta a capire perché un’intelligence possa agire alle spalle dell’alleato. La Cia lo ha fatto con il caso Abu Omar a Milano e l’Nsa a livello globale. Ora di nuovo in Germania. E il fatto che i due tedeschi agganciati dagli americani non fossero così importanti non deve ingannare. La talpa è un investimento. Oggi conta poco, domani potrebbe ricoprire un incarico chiave. La pietruzza è diventata pepita.
Guido Olimpio
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