La sfiducia e il pessimismo verso questa Europa neoliberista

La sfiducia e il pessimismo verso questa Europa neoliberista

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Di recente, il socio­logo tede­sco Wol­fgang Streeck ha argo­men­tato che la fine del capi­ta­li­smo può venire dalla debo­lezza, piut­to­sto che dalla forza, dell’opposizione anti-neoliberista.
Lasciato a se stesso, senza limiti, l’ingordigia del capi­ta­li­smo por­te­rebbe infatti alla distru­zione (al momento in sta­dio avan­zato) di quelle risorse umane a mate­riali di cui esso stesso ha biso­gno per soprav­vi­vere. Un argo­mento simile si potrebbe arti­co­lare anche rispetto alla Unione Europea.

All’indomani di ele­zioni che, per (man­canza di) par­te­ci­pa­zione ed esiti hanno mostrato tutta la insof­fe­renza dei cit­ta­dini euro­pei rispetto a que­sta Europa, il Par­tito Popo­lare Euro­peo (prin­ci­pale per­dente in ter­mini di elet­tori in uscita) e, quel che è peg­gio, un Par­tito Socia­li­sta Euro­peo che non è riu­scito a pre­sen­tarsi come alter­na­tiva, pro­ce­dono come se nulla fosse stato: con il soste­gno bi-partisan al Popo­lare Jean-Claude Juncker—Mister Crisi, non­ché Mister Austerità—alla pre­si­denza della Com­mis­sione Euro­pea e l’elezione (con accordo di rota­zione Pse-Ppe di Mar­tin Schultz, Socia­li­sta cri­ti­cato per­sino in patria per un pere­grino poster elet­to­rale dove si leg­geva «solo se voti per Mar­tin Schultz e l’Spd può un tede­sco diven­tare pre­si­dente della Com­mis­sione Europea».

In più, espo­nenti di entrambi i par­titi van­tano la salda mag­gio­ranza euro­pei­sta nel par­la­mento europeo—rimuovendo la pre­senza, in quella pre­sunta mag­gio­ranza, di pre­senze imba­raz­zanti e ben poco euro­pei­ste, da Forza Ita­lia di Sil­vio Ber­lu­sconi al Fidesz di Vic­tor Orban. Ppe, Pse e chi con loro sem­brano avere fretta di dimen­ti­care che, secondo i son­daggi dell’Eurobarometro, la per­cen­tuale dei cit­ta­dini che ha fidu­cia nella Ue è scesa dal 57% nel 2007 al 31% nel 2013.

La per­cen­tuale di cit­ta­dini che ha una imma­gine posi­tiva dell’Europa è scesa nello stesso periodo dal 52 al 31% e quella di coloro che sono otti­mi­sti rispetto ai futuri svi­luppi della Ue è crol­lata dai due terzi alla metà della popo­la­zione. E che, se que­sti sono i valori medi, la situa­zione è di gran lunga più dram­ma­tica nei paesi più col­piti dalla crisi. Que­sti dati riflet­tono una pro­fonda crisi di respon­sa­bi­lità della ver­sione poli­tica del neo­li­be­ri­smo, nella quale la Ue è con­si­de­rata prin­ci­pale pro­mo­trice. NeL 1970, Haber­mas aveva col­le­gato la crisi eco­no­mica ad una crisi di legit­ti­mità, pro­dotta dalla inca­pa­cità dello stato di risol­vere i pro­blemi del mer­cato. Se Haber­mas si rife­riva allo stato inter­ven­ti­sta della ver­sione for­di­sta, nel capi­ta­li­smo oggi l’effetto di dele­git­ti­ma­zione delle isti­tu­zioni poli­ti­che viene da una crisi di respon­sa­bi­lità legata alla rinun­cia delle isti­tu­zioni poli­ti­che di garan­tire fon­da­men­tali diritti di cit­ta­di­nanza. In estrema sin­tesi, men­tre negli anni ’80 gli Stati furono accu­sati di spen­dere troppo e si allon­ta­na­rono dalle poli­ti­che eco­no­mi­che key­ne­siane di pieno impiego, il post-fordismo ha por­tato a una ridu­zione del wel­fare e a un aumento delle disu­gua­glianze sociali.

Dere­go­la­men­ta­zioni, pri­va­tiz­za­zioni hanno rap­pre­sen­tato i prin­ci­pali indi­rizzi di policy giu­sti­fi­cati dal biso­gno di rista­bi­lire l’efficienza del mer­cato. Tali inter­venti non hanno aiu­tato a miglio­rare la con­cor­renza, ma piut­to­sto incen­ti­vato la con­cen­tra­zione del potere nelle mani di poche mul­ti­na­zio­nali, con una con­se­guente crisi eco­no­mica che affonda le sue radici non nella scar­sità o nell’inflazione, ma piut­to­sto in un pro­cesso di man­cata redi­stri­bu­zione. Dal 2008, il debito pub­blico è aumen­tato, non a causa di inve­sti­menti in ser­vizi sociali o a sup­porto di gruppi sociali vul­ne­ra­bili, ma piut­to­sto a causa di ingenti inie­zioni di denaro pub­blico a favore di ban­che e isti­tu­zioni finan­zia­rie in dis­se­sto finan­zia­rio che ave­vano ope­rato dra­stici tagli sulle tas­sa­zione dei capi­tali. Que­sto svi­luppo nelle inte­ra­zioni fra stato e mer­cato si è tra­sfor­mato in cor­ru­zione della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva attra­verso la sovrap­po­si­zione fra potere eco­no­mico e poli­tico. Dal punto di vista del sistema poli­tico, que­sto com­porta una rinun­cia di respon­sa­bi­lità da parte delle isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive di fronte alle istanze dei cittadini.

Con­tro le pro­messe neo­li­be­ri­ste di difesa del mer­cato dallo stato, stu­diosi di varie disci­pline foca­liz­zano l’attenzione su due ele­menti. Da un lato, la sepa­ra­zione fra eco­no­mia e poli­tica è pre­sente rara­mente, i governi devono infatti rime­diare la pre­senza di fal­li­menti del mer­cato, e i mer­cati hanno biso­gno di leggi. Dall’altro, la capa­cità degli stati di garan­tire i diritti dei cit­ta­dini è dra­sti­ca­mente ridi­men­sio­nata dalle poli­ti­che di pri­va­tiz­za­zione, libe­ra­liz­za­zione, e dere­go­la­men­ta­zione che hanno per­messo la con­cen­tra­zione del capi­tale attra­verso legi­sla­zioni favo­re­voli. Gli stati sono accu­sati di abro­gare i diritti sociali al fine di aumen­tare i pro­fitti e le ren­dite di pochi pri­vi­le­giati, poi­ché infatti il neo­li­be­ri­smo implica l’abolizione di molte leggi e rego­la­men­ta­zioni orien­tate al con­trollo dell’economia. Inol­tre, il neo­li­be­ri­smo si è fon­dato – e, come Colin Crouch ha sot­to­li­neato, è stra­na­mente soprav­vis­suto alla sua stessa crisi– soprat­tutto attra­verso il tra­sfe­ri­mento di un’ampia quan­tità di denaro dalle mul­ti­na­zio­nali ai poli­tici. Libe­ra­liz­za­zioni, dere­go­la­men­ta­zioni e pri­va­tiz­za­zioni hanno infatti por­tato a cor­ru­zione e lobby sel­vagge, anche a livello euro­peo. Allo stesso tempo così come le mul­ti­na­zio­nali com­prano le deci­sioni poli­ti­che, emerge il ten­ta­tivo di pre­sen­tare que­ste stesse deci­sioni come «apo­li­ti­che», con l’obiettivo di legit­ti­marne il risul­tato come un beni­gno inter­vento di rego­la­men­ta­zione che l’UE ha cer­cato di raggiungere.

Lo spa­zio per le deci­sioni poli­ti­che è stato negato da poli­tici di dif­fe­renti ban­diere sulla base di un’assunta pre­do­mi­nanza di «logi­che di mer­cato», soprat­tutto nel caso dei mer­cati inter­na­zio­nali. L’obiettivo demo­cra­tico di otte­nere fidu­cia da parte dei cit­ta­dini è stato, nei fatti, reto­ri­ca­mente sosti­tuito dalla ricerca di una «fidu­cia del mer­cato», che è otte­nuta anche a spese di una insen­si­bi­lità verso le istanze dei cit­ta­dini. La respon­sa­bi­lità degli stati demo­cra­tici di fronte ai loro cit­ta­dini è stata rimossa in nome del rispetto di con­di­zio­na­lità esterne – incluse quelle impo­ste dall’Ue agli Stati per l‘accesso a pre­stiti– che hanno impo­sto tagli alla spesa pub­blica, con con­se­guenze dram­ma­ti­che in ter­mini di vio­la­zioni dei diritti umani fon­da­men­tali quali diritto al cibo, alla salute, e all’abitazione. La respon­sa­bi­lità demo­cra­tica è per­tanto ridotta dall’irresponsabilità delle orga­niz­za­zioni inter­na­zio­nali che impone que­ste con­di­zio­na­lità, met­tendo a repen­ta­glio le scelte politiche.

Senza con­trolli e limiti, la crisi di respon­sa­bi­lità che inve­ste le isti­tu­zioni poli­ti­che ai vari livelli in Europa è desti­nata a incan­cre­nirsi. È impor­tante la capa­cità di opporsi a que­ste visioni di Europa da parte di quelle forze che — anche nel par­la­mento (da Siryza a Pode­mos, ai Verdi e anche, nono­stante le sto­lide alleanze, il M5s — pos­sono essere por­ta­trici di un’altra Europa.



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