Senato, tocca all’Aula Caso indennità, i ribelli contro il leader

Senato, tocca all’Aula Caso indennità, i ribelli contro il leader

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ROMA — In aula a Palazzo Madama oggi e domani tutti i parlamentari iscritti a parlare, e c’è da giurarci che saranno molti, potranno dire cosa pensano della riforma del Senato e del Titolo V (federalismo). Poi, da mercoledì partirà la batteria di votazioni (è quasi impossibile che venga concesso anche un solo scrutinio segreto) sugli emendamenti che giungeranno copiosi sul banco dei relatori fino al termine previsto per le 13 di domani. La nave della riforma del bicameralismo, dunque, va. Ma si è appena staccata dalla banchina per affrontare una lunga crociera in acque sicure ma anche sconosciute, visto che le riforme costituzionali devono doppiare il voto in Aula ben quattro volte, due al Senato e due alla Camera, con un intervallo di almeno tre mesi tra i primo e il secondo passaggio nello stesso ramo del Parlamento.
Per questo, il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi (Pd), svela i piani del governo: incassando la prima lettura al Senato non prima del 22-24 luglio, «io mi auguro di riuscire ad approvare la riforma prima della sospensione estiva. Se il governo non farà ferie, il Parlamento avrà una pausa. Spero che entro la metà di agosto si arrivi all’approvazione». Così ha parlato il ministro al «Caffè della Versiliana» e da questo calendario si deduce che l’obiettivo del governo sarebbe quello di discutere la riforma alla Camera in fretta e furia, per poi votare prima di Ferragosto. Sarebbe una novità perché finora tutti pensavano a settembre per il secondo passaggio in Parlamento.
Ma le acque sconosciute in cui si è inoltrata la riforma inducono alla prudenza anche il ministro che attribuisce ai grillini la capacità di regolare la velocità della legge: «Molto dipenderà dall’atteggiamento del M5S e da quanto i suoi parlamentari cercheranno di rallentare il lavoro. Ci hanno già provato, senza successo, quando abbiamo discusso l’abolizione delle Province». Anche il premier Matteo Renzi — che il ministro Boschi descrive in pubblico a Marina di Pietrasanta come uno «un po’ confusionario ma negli ultimi mesi è molto migliorato» — non nasconde che «le resistenze saranno tantissime». Ma allo stesso tempo è certo che «la maggioranza sarà molto ampia». Eppure, è stato lo stesso Renzi con la sua intervista al Corriere della Sera — in cui ha detto che chi rema contro la riforma lo fa perché, con la scusa dell’elezione diretta, vuole mantenere l’indennità — a surriscaldare gli animi: «Il premier ha la cattiva abitudine di criminalizzare chi dissente», osserva un pacato Augusto Minzolini (FI, non allineato con il patto del Nazareno). Che aggiunge: «Io non ho interessi perché a differenza di Renzi, che ha scelto la politica come professione, la mia esperienza in politica ha un inizio e una fine». Vannino Chiti (non allineato insieme ad altri 14 senatori del Pd) è più ruvido: «In un’intervista il presidente del Consiglio ha detto alcune cose non vere… Sostenere che chi propone una riforma costituzionale diversa vuole difendere l’indennità è assurdo. Tagliando il numero dei deputati a 315 o 470 sparirebbe qualche centinaio di indennità…». Ma su questo punto, la diminuzione del numero dei deputati, il governo appare inamovibile.
Forza Italia assicura che il patto del Nazareno con il Pd tiene. Il ministro Boschi ricambia ribadendo, a pochi giorni dal processo di appello in cui Berlusconi deve rispondere di concussione e di prostituzione minorile, che Forza Italia «fin qui si è comportata in modo molto responsabile e serio». Dunque la riforma potrebbe essere approvata con la maggioranza dei due terzi tale (in terza e quarta lettura) da scongiurare il referendum confermativo? «Non ho paura del referendum, non è escluso che si possa fare comunque un referendum», taglia corto Boschi.



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