Nuovo scontro Roma-Ue sulla flessibilità
BRUXELLES — «A me sembra tutto un trucco». E più sincero di così, Jyrki Katainen non potrebbe essere: il «trucco», per il finlandese neocommissario europeo agli affari economici, è l’idea italiana di scorporare dal calcolo del deficit i grandi investimenti produttivi favorevoli alla crescita. Perché «è molto difficile fissare una regola oggettiva per definire che cosa significhi “favorevole” alla crescita». Il monito vale sia per Roma che per Parigi, autori di proposte simili. Ma brucia soprattutto per Roma: il dibattito sulla flessibilità, dice in sostanza Katainen, è sbagliato, non serve, perché serve molto di più amministrare bene i propri bilanci.
Ecco perciò il logico corollario, in sintonia perfetta con le richieste di Angela Merkel: niente allentamenti del Patto di stabilità, (“nessuna sua interpretazione creativa, eviterò che si trovi un modo di eluderlo”), l’Italia ha un buon piano di consolidamento dei bilancio ma adesso acceleri le sue riforme. «Certi governi dovrebbero chiedere a se stessi perché crescano più lentamente di altri, nonostante impieghino tanto denaro pubblico». Chi vuole intendere, intenda. E il tutto è un chiaro colpo di sbarramento preventivo, per così dire: Katainen dovrebbe entrare in carica venerdì prossimo, e con una serie di interviste su 5 media europei –fra cui “Reuters”, “La Stampa”, “Die Welt”- fa capire come la pensa, previene le richieste pressanti di flessibilità che già si affollano all’orizzonte. A stretto giro di mail, dopo le anticipazioni più dure fatte filtrare ieri da “Die Welt”, la risposta italiana: «Con tutto il rispetto per Katainen, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in Europa, non lo dice il commissario pro tempore finlandese, ma il consiglio dell’Unione», afferma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Sandro Gozi. «E il Consiglio ha parlato chiaro su crescita e flessibilità: di solo rigore l’Europa non campa».
Fino a poche settimane fa primo ministro del suo Paese, Katainen è un politico giovane, stimato ed esperto: è spesso definito un falco, come il suo connazionale e predecessore nella stessa carica di oggi, Ollie Rehn, ma sembra non gradire certe semplificazioni. E tuttavia, le parole che dice appaiono come una sorta di cintura di sicurezza intorno al Fiscal pact, il patto rigorista sul controllo dei bilanci fabbricato da Angela Merkel.
A cominciare dalle frasi che più sembrano riguardare l’Italia. I costi sostenuti per reperire denaro sul mercato, dice il neocommissario, potrebbero impennarsi di nuovo, se gli investitori percepissero «che le riforme stiano incrinandosi o che la disciplina di bilancio stia svanendo… Nella mia mente, il tema più pressante al momento è la stabilità nella zona euro».
Poi altre indicazioni, tutte nel segno del rigore, non però un rigore fine a stesso ma al tentativo di armonizzare le esigenze di Paesi molto diversi: come il Portogallo, da una parte, tornato di colpo sull’orlo di un burrone per la febbre che scuote il suo Banco Espirito Santo, e la Polonia dall’altra, che marcia a cento e si avvia a diventare la terza potenza economica dell’Unione Europea: questi problemi che si susseguono «dimostrano che noi siamo ancora in una situazione molto fragile, e che non dovremmo fare niente che possa mettere in pericolo la posizione dei Paesi più vulnerabili».
E il discorso-monito si chiude ancora una volta sul tema controverso della flessibilità: «I governi che vogliono aumentare gli investimenti pubblici per rilanciare una crescita che va a rilento, dovrebbero farlo seguendo il criterio della “prioritizzazione” (tagliare la spesa da un’altra parte, ndr) piuttosto che incrementare il loro deficit di bilancio e il loro debito».
Luigi Offeddu
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