by redazione | 19 Luglio 2014 9:32
PALERMO . A Gela si prega e si sciopera contro la paventata chiusura della raffineria dell’ Eni che mette a rischio 3 mila posti di lavoro tra diretti e indotto. A fianco di Gela e degli altri siti in bilico, in Veneto e in Puglia, il 29 luglio scenderanno in campo tutti i 30 mila dipendenti del gruppo. Questa la decisione del coordinamento unitario Eni di Filctem- Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil, che hanno anche annunciato una manifestazione davanti a Montecitorio contro «la profonda crisi in atto nel sistema della raffinazione italiana e le posizioni recentemente rese note dall’azienda sul blocco degli investimenti».
La situazione certamente più calda è quella del sito siciliano. L’ Eni ha ritirato il piano d’investimenti da 700 milioni di euro annunciato lo scorso anno per ammodernare il sito e ha fatto trapelare l’intenzione di chiudere la raffineria: progetto che sarebbe stato inserito nel piano industriale sul tavolo del consiglio d’amministrazione. La città da giorni è scesa in strada per protestare, con i lavoratori che hanno anche minacciato di chiudere il gasdotto che collega l’Italia alla Libia. I picchetti sono continui e per garantire la sicurezza del sito il prefetto ha precettato una quarantina di operai.
La tensione è altissima. Il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana, ha convocato veglie di preghiera giornaliere e sulle barricate c’è anche il governatore Rosario Crocetta, nato a Gela ed ex sindaco della città: «L’ Eni non può lasciare la Sicilia, che ha già pagato un prezzo altissimo in termini di danni ambientali e salute dei cittadini — dice il governatore siciliano — non lo permetteremo ». Crocetta ha chiesto e ottenuto la convocazione di un tavolo nazionale alla presenza del governo e dell’Eni. Ma la sensazione è che l’azienda non voglia fare passi indietro: di fatto già da febbraio la raffineria ha ridotto quasi a zero la produzione. I numeri dell’impianto gelese sono disastrosi e tutto il settore della raffinazione è in crisi. Il margine per le aziende che hanno investimenti in Italia è sceso dai 10 dollari al barile del 2009 ad appena un dollaro. Il mercato è in difficoltà e governatore e sindacati temono che la prima a farne la spese sia proprio la raffineria siciliana. Per i sindacati lo sciopero del 29 è solo l’inizio della battaglia: «Chiediamo un incontro urgente al governo nazionale, perché c’è poca chiarezza attorno alla questione Eni e attorno agli indirizzi di politica industriale in generale — dice il segretario Uiltec, Paolo Pirani — la preoccupazione è che Eni non dia delle risposte chiare rispetto ai progetti futuri e che quello che sta accadendo oggi a Gela e a Porto Marghera possa ripetersi a breve anche negli altri siti». «Non solo dismissioni ma si rischiano le dimissioni di Eni dall’Italia — aggiunge Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil — cosa ci sta a fare quel 30 per cento di quote Eni in possesso degli italiani? Noi apprezziamo il tentativo di mediazione del governo, ma chiediamo che svolga anche le sue funzioni di principale azionista, perché è suo dovere. Così si fa in Francia e Germania». Da Gela la protesta rischia di espandersi a macchia d’olio in tutta Italia.
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