“ Sbarchi a quota 100mila entro l’estate ”, centri al collasso, pronte le caserme

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ROMA . «La macchina è messa a dura prova. Il rischio è che vada in tilt». Dal Viminale non nascondono la preoccupazione: 84mila gli sbarchi dall’inizio dell’anno, «con la stima di bruciare quota 100mila entro fine estate». I centri d’accoglienza sono già tutti esauriti e i prefetti riceveranno oggi un telegramma per l’attivazione urgente di altri 10mila posti. Poi toccherà alle caserme: la prima ad aprire sarà la Masotto di Bisconte a Messina. Poi sarà la volta di quelle di Civitavecchia e Montichiari. Ogni regione dovrà fare il suo: Lombardia, Campania, Sicilia e Lazio avranno il carico maggiore. «Ma potrebbe non bastare — avvertono dal Viminale — se la politica non si attiva e mette un tappo in Libia ».
La verità è che l’onda degli sbarchi non si ferma. E con gli sbarchi prosegue la conta delle vittime: ieri è arrivato a Messina cadavere un bambino siriano di un anno che si trovava, insieme alla madre, sul barcone con 29 morti per asfissia (e non 19, come dicevano le prime informazioni) soccorso sabato da una petroliera danese tra la Libia e Malta. Tra i 566 profughi salvati anche 73 bimbi, quasi tutti tra i due e gli otto anni e un neonato, allattato da una giovane donna incinta. Dormiranno con gli adulti in una scuola media della città. Sempre ieri la polizia ha fermato anche uno dei presunti scafisti.
Il premier Matteo Renzi, in viaggio ufficiale in Angola, è tornato a puntare il dito contro Bruxelles: «L’Europa deve cambiare la propria politica di immigrazione». Dalla Lega, ancora attacchi al governo, col governatore della Lombardia, Roberto Maroni, schierato contro l’ospitalità ai migranti: «Non spenderò mai i soldi dei lombardi per accogliere e mantenere i clandestini ».
Peccato che qui non si tratti di “clandestini”. Come fanno notare dal ministero dell’Interno, si tratta in gran parte di richiedenti asilo, immigrati cioè che l’Italia ha il dovere di accogliere: «Oltre l’80% degli sbarchi di quest’anno riguarda persone che hanno diritto a qualche forma di protezione. Pochi sono i migranti economici che troviamo a bordo».
Per far fronte a questi numeri, l’11 luglio scorso governo ed enti locali hanno siglato un piano d’accoglienza. Tre le fasi. La prima di «soccorso» è tutta in mano al Viminale: identificazione, visite mediche, assistenza per pochi giorni nei centri per immigrati governativi presenti sul territorio. Centri che già oggi lavorano su numeri che superano i tetti previsti dalle convenzioni, eppure i prefetti entro 24 ore riceveranno dal ministero la richiesta di 10mila posti extra da mettere a disposizione.
La seconda fase è denominata «prima accoglienza » e la palla passa alle Regioni, che assieme al Viminale dovranno individuare degli hub dove ospitare e smistare i rifugiati. Si utilizzeranno per lo più caserme dismesse, a partire dalla Masotto di Bisconte a Messina, che aprirà entro pochi giorni. Ogni Regione dovrà accogliere la propria quota. Dopo le iniziali resistenze, anche Lombardia e Veneto si sono piegate. La ripartizione sarà proporzionata alle risorse che ciascuna Regione riceve dal Fondo nazionale per le politiche sociali. E così prima sarà la Lombardia (che si mangia il 14,15% della torta): su una quota base di 10mila migranti da accogliere, gliene toccheranno 1.415. Seguono Campania (998), Sicilia (919) e Lazio (860). Ma i numeri reali finali, saranno ben maggiori: moltiplicati per tre o quattro.
L’ultima fase è la «seconda accoglienza e integrazione »: richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, ma anche minori non accompagnati, verranno accolti nella rete Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), gestita dai comuni italiani, tutti gli altri verranno rimpatriati o identificati nei Cie. Sulla carta, oggi, sono 20mila i posti a disposizione dello Spar, «ma sono teorici — avvertono dal Viminale — visto che molti comuni in difficoltà non garantiscono la piena accoglienza».
Il rischio è che la macchina impazzisca. «C’è stata una sottovalutazione del fenomeno — ragionano dal ministero dell’Interno — e all’inizio si è lasciato che molti rifugiati lasciassero il Paese per raggiungere le loro mete nel Nord Europa. Un modo per allertare i partner dell’Unione, ma non è servito. Ora se la politica non si attiva, affiancando a Mare Nostrum una missione in Libia, si rischia il caos».


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