by redazione | 3 Luglio 2014 8:45
STRASBURGO — Doveva presentare il programma del semestre italiano: «Vi lascio un discorso scritto che troverete agli atti». Ha preferito illustrare a braccio la sua visione del futuro dell’Europa, paragonata al vecchio Anchise, che «se oggi si fa un selfie emerge il volto della stanchezza e della noia». Alla fine, suo malgrado, è rimasto ingabbiato nella solita polemica sulla flessibilità. Manfred Weber, capogruppo tedesco del Ppe, alfiere del rigore, ha acceso il dibattito puntando l’indice contro l’Italia e le sue richieste. Renzi gli ha risposto in modo duro: «Non prendiamo lezioni da chi, proprio in quest’Aula, ha ottenuto non la flessibilità, ma lo sforamento del tetto» del patto di Stabilità.
La giornata di Renzi al Parlamento di Strasburgo passa sotto il segno delle polemiche, verrà ricordata per uno scontro indiretto con la Germania, per il «giallo» di una conferenza stampa istituzionale annunciata e poi annullata per volare a Roma e partecipare ad una puntata speciale di Porta a Porta . Di fronte a un dibattito quasi esclusivamente italiano, con grandi spazi vuoti fra i banchi dei parlamentari europei, l’unico deputato che in qualche modo accende l’atmosfera è Manfred Weber. Se Renzi fa l’elogio della crescita il tedesco invece ci vede solo il rischio di altri debiti, che «non creano futuro, lo distruggono e di tempo per le riforme ne abbiamo già dato troppo».
È uno schiaffo alle ambizioni e ai progetti del nostro Paese, la reazione di Renzi è orgogliosa e molto dura: «Non prendiamo lezioni da nessuno», tantomeno da un Paese che nel 2003 ha sforato i tetti del Patto di Maastricht, «l’Italia non teme i giudizi», continua il premier, «ma i pregiudizi, siamo un grande Paese che ha dalla sua parte non solo la storia ma anche il futuro e se qualcuno pensa di venire qui a dare lezioni ha sbagliato posto». Una tensione che per Gianni Pittella potrebbe addirittura avere ricadute sull’accordo fra socialisti e popolari sulla scelta di Juncker come guida della Commissione europea. A fine giornata è Martin Schulz a riportare un po’ di serenità dicendo che non esiste alcun dubbio sul politico lussemburghese, che l’accordo è già chiuso e non può essere rimesso in discussione.
Insomma è un bilancio in chiaroscuro quello dell’esordio di Renzi come presidente di turno del semestre Ue. La polemica con il politico tedesco oscura il dibattito (peraltro noioso e con interventi quasi esclusivamente di esponenti italiani), oscura il programma italiano (che Renzi sceglie di non illustrare), oscura persino il discorso stesso del presidente del Consiglio, al quale assistono il ministro degli Esteri Federica Mogherini, seduta accanto a Renzi, i sottosegretari Delrio e Gozi, arrivati da Roma insieme al premier, lo staff diplomatico italiano, schierato al completo nei banchi dietro al capo del governo.
Per parlare della sua Europa, delle sue idee di riforma della Ue, Renzi attinge a piene mani ai grandi classici. Il Vecchio Continente è paragonato allo stanco Anchise, i giovani sono invece accostabili a Telemaco, al figlio di Ulisse, perché «c’è una generazione nuova che ha il dovere di riscoprirsi Telemaco, di meritare l’eredità» dei padri fondatori della Ue: «Io non ero nemmeno maggiorenne quando c’è stata Maastricht», dice il premier, «noi non vediamo il frutto dei nostri padri come un dono dato per sempre, ma una conquista da rinnovare ogni giorno».
Sulle regole economiche, sulla necessità di una svolta, «non chiediamo di cambiare le regole, ma diciamo però che rispetta le regole chi si ricorda che abbiamo firmato insieme il patto stabilità e crescita. La richiesta di crescita come elemento fondamentale della politica economica europea serve all’Europa e anche all’Italia: senza crescita l’Europa non ha futuro». E l’argomento vale una promessa, accompagnata da una rivendicazione: «Sulle questioni economiche, ve lo garantisco, ci faremo sentire con forza, con la forza di un Paese che ha dato più di quanto ha preso».
L’obiettivo, «la vera sfida che ha di fronte a sé il nostro continente è ritrovare l’anima dell’Europa». Una Ue che non può essere «solo burocrazia, ci basta e avanza la nostra», ma che piuttosto «deve tornare a essere una frontiera». «Voi siete un faro di civiltà» dice Renzi ai parlamentari europei, si rivolge agli inglesi, «senza i quali l’Europa non sarebbe se stessa». Gli applausi sono tiepidi, i banchi vuoti dell’emiciclo (quasi la metà) segnano la differenza fra le aspettative italiane e la realtà (distratta) di questa istituzione. Alla fine la polemica con Weber, poi di corsa in Italia, negli studi di Bruno Vespa.
Marco Galluzzo
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