by redazione | 29 Luglio 2014 10:24
Chiunque interroghi su Marco Lombardo Radice ti risponde con più o meno con la stessa frase «era enorme, non solo fisicamente», come se da quella grandezza fisica derivasse direttamente un’energia irrefrenabile e contagiosa.
Lo scorso 16 luglio, nel «suo» reparto di neuropsichiatria infantile dell’Umberto I a Roma, si è tenuta un’assemblea contro la progressiva chiusura della struttura, e amici e colleghi hanno ricordato la straordinaria figura di «Lombardone», scomparso troppo presto nell’estate del 1989.
Qui, nel reparto di via dei Sabelli, era arrivato da specializzando del neuropsichiatra Giovanni Bollea nel 1976, per prenderne poi il timone nel 1978, proprio mentre la vecchia psichiatria italiana veniva travolta dalla Legge Basaglia, si mettevano in discussione antiche certezze e si cercavano nuove strade nel relazionarsi con la malattia mentale. In questo contesto e comincia la sua battaglia con altri medici e il personale del reparto per cambiare, per non lasciare nulla d’intentato, soprattutto nei casi ritenuti «difficili» che le altre strutture rifiutano, inventando nella ricerca quotidiana una nuova pratica psichiatrica per adolescenti. Uno medico «stravagante» che si batte per tenere un cane in corsia, per far interagire un reparto di ospedale con il quartiere che lo circonda; che fa le notti anche se non è di turno, che porta i suoi ragazzi in gita e non si accontenta di distribuire farmaci in dosi eccessive per evitare noie.
Ma Marco Lombardo Radice non era solo un medico innamorato del suo lavoro, è stato anche il coautore con Lidia Ravera di Porci con le Ali, il romanzo «scandalo» che metteva alla berlina la morale bigotta della sinistra rivoluzionaria ed esplorava con candore e realismo la vita sentimentale e sessuale di due adolescenti. Dopo il successo inaspettato del suo romanzo se ne va volontario in un campo profughi palestinese, lontano dai riflettori e dalle richieste d’intervista (chissà cosa avrebbe pensato del film di Francesca Archibugi il Grande Cocomero che racconta proprio la rivoluzione nel reparto di via dei Sabelli). È in un libricino intitolato «Concrete utopie» (Edizioni dell’Asino 2010), che si trova tutta la ricchezza della riflessione di Lombardo Radice, non solo la psichiatria, ma i rapporti tra le generazioni, la famiglia, il femminismo e l’omosessualità, i tabù e i limiti del suo ambiente di provenienza, la sinistra rivoluzionaria nata dalla rivolta studentesca. Domande e problemi posti con uno stile franco e limpido, senza giri di parole, con la capacità di individuare in poche frasi il nodo dolente.
Non amava la militanza politica in senso stretto Lombardo Radice, la trovava «noiosa», preferiva di gran lunga il suo lavoro, dove coniugava rigore scientifico e serietà professionale, con la volontà di cambiamento, di liberazione e di emancipazione. Perché domani il mondo sarà dei bambini e degli adolescenti di oggi.
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