UNA POLITICA PER I POVERI

UNA POLITICA PER I POVERI

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NEGLI anni della crisi il numero di coloro che si trovano in condizione di povertà assoluta, cioè impossibilitati a sostenere le spese necessarie alla sussistenza materiale, è raddoppiato, passando da 2,4 milioni di persone nel 2007 a 4,8 milioni nel 2012 (e non ci sono indicazioni tali da far ritenere che nel 2013 le cose siano andate meglio). Benché le differenze territoriali si siano ulteriormente allargate, con il Mezzogiorno sempre più impoverito, la povertà morde anche nel Centro-Nord.
L’aumento si è concentrato soprattutto tra minori e giovani, e tra le famiglie più giovani e con due o più figli. A differenza degli anni passati, infatti, anche un secondo (e non solo un terzo) figlio fa aumentare di molto il rischio di povertà, stante l’erosione, quando non la perdita tout court, dei redditi da lavoro di molti genitori. Viceversa, nonostante vi sia stato un aumento di povertà anche tra i più anziani, esso è stato contenuto, segnalando l’effetto protettivo della pensione (più sicura di un reddito da lavoro) e l’efficacia del mantenimento dell’indicizzazione per le pensioni più basse — di fatto l’unica politica di contrasto alla povertà effettuata in modo sistematico in questi anni.
Le altre sono state e sono invece occasionali, frammentate, rivolte a piccoli gruppi, mal disegnate e perciò inefficaci: dalla social card di 40 euro mensili destinata agli anziani sopra i sessantacinque anni e ai bambini sotto i tre, introdotta dall’ultimo governo Berlusconi, alla nuova social card di importo più consistente — dedicata alle famiglie con figli minori con stringenti requisiti sia di reddito sia di status occupazionale — destinata dapprima (con il governo Monti) alla sperimentazione in 12 città, allargata poi con gli stessi criteri, con i fondi europei, a tutti i Comuni del mezzogiorno e successivamente, con gli scarsi fondi messi a disposizione dal Governo Letta, a tutti gli ambiti territoriali. Un allargamento, per altro, che è stato bloccato dal cambio di governo. Quanto al bonus di 80 euro introdotto dal governo Renzi, il suo disegno esclude i poveri assoluti, dato che è destinato ai lavoratori a basso reddito, senza tener conto né del reddito, né dei carichi famigliari e senza affrontare la questione dell’incapienza.
Se questa tortuosa vicenda testimonia che la questione della povertà per lo meno è entrata nell’agenda politica dopo anni di assenza, accompagnata da un crescente impegno di spesa, ne testimonia anche la persistente marginalità. Con il risultato, documentato dal Rapporto sulle politiche contro la povertà in Italia negli anni della crisi, curato dalla Caritas insieme a diverse associazioni e presentato ieri, che tutte queste misure hanno scalfito poco o nulla l’iceberg della povertà assoluta, tanto più che contestualmente sono diminuite le risorse per le politiche locali.
Le informazioni necessarie per mettere a punto una buona politica di contrasto alla povertà assoluta sono ampiamente disponibili. A mancare non sono tanto le risorse economiche, pur notevoli, quanto la volontà politica di fare del sostegno a chi si trova in povertà una priorità dell’agenda politica. Lo insegna la vicenda del Sostegno di Inclusione Attiva, una misura non categoriale né sperimentale di reddito minimo integrato da servizi rivolta a tutti i poveri, fortemente sostenuta dal ministro Giovannini e dalla sottosegretaria Guerra nel governo Letta, bocciata da quello stesso governo che pure aveva approvato la più costosa cancellazione dell’Imu per un anno. Anche la Caritas e le associazioni che hanno collaborato al Rapporto sostengono la necessità di introdurre finalmente in Italia (l’unico paese della Ue, insieme alla Grecia, a non averla) una misura di questo genere al posto di misure frammentate e casuali.
È una questione di equità, di solidarietà sociale, ma anche di lungimiranza, per contrastare i processi in atto di marginalizzazione e la loro riproduzione da una generazione all’altra. Per altro, ce lo chiede anche l’Unione Europea, nelle sue Raccomandazioni del giugno scorso a margine al Piano nazionale di riforma. Insieme agli estensori del Rapporto anch’io mi chiedo se il contrasto alla povertà assoluta faccia parte dell’agenda del governo Renzi, in parallelo alla crescita dell’occupazione. Quando, e se, questa avverrà, infatti, è difficile che i primi a beneficiarne saranno i più vulnerabili e più poveri. Tanto più che molti tra loro hanno sì un lavoro, ma il reddito che ne traggono non è sufficiente a far fronte ai bisogni delle loro famiglie, neppure se ricevessero gli 80 euro.


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