Il mistero della plastica scomparsa dai mari “Mangiata dai pesci”
BOTTIGLIE , piatti, sacchetti, vecchie bambole, frammenti di scarpe e resti di pic-nic. Rifiuti, in una parola. Centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti che ogni anno finiscono negli oceani. E non si sa che fine facciano. La spedizione Malaspina è partita da Cadice nel 2010 per studiare il problema. Ed è tornata in porto con un mistero: a conti fatti, spiegano oggi gli scienziati dalle pagine della rivista Pnas (Proceedings of the national academy of sciences), manca il 99 per cento della plastica che sappiamo essere stata gettata in mare. Dove sia finita è difficile dirlo. Ma un sospetto c’è. Cioè che se la siano mangiata i pesci.
Dei trecento milioni di tonnellate di plastica che produciamo ogni anno circa lo 0,1 per cento finisce in mare. Ci finisce perché trasportato dai fiumi o dalle alluvioni che spazzano le coste, o perché gettato in acqua dal personale delle navi. Sono 300.000 tonnellate di rifiuti all’anno. Perciò, a parte quella che il mare restituisce sulle coste o che rimane intrappolata nei ghiacci artici, ci si aspetterebbe di trovare una quantità di plastica nel mare nell’ordine dei milioni di tonnellate. Invece gli scienziati della Malaspina hanno trovato numeri sorprendentemente più bassi, intorno alle 40.000 tonnellate. Si tratta dell’1 per cento circa di quanto ci si aspettava, ha spiegato Carlos Duarte, il capo spedizione: «Resta aperta la sfida su dove sia quella che manca».
Per tutti l’ipotesi che sia stata mangiata dai pesci è la più ovvia. La plastica sulla superficie del mare, infatti, nel tempo si spezzetta e viene disgregata dalla radiazione solare fino a diventare quella che gli scienziati chiamano “microplastica”, ossia una polvere microscopica simile al plancton di cui i pesci si nutrono. In questa forma è facile che entri nella catena alimentare degli organismi marini. Quello che impressiona nei risultati della ricerca appena pubblicata sono però le dimensioni. E la constatazione che, se entra nel menù dei pesci, entra di conseguenza anche nel nostro.
Per alcuni scienziati questa spiegazione però non è sufficiente: un po’ della plastica — sostengono — potrebbe essersi ridotta in frammenti ancora più piccoli e difficili da riconoscere come le cosiddette nanoplastiche. Altri ritengono che la plastica sia affondata da sola come rifiuto primario oppure dopo essere stata mangiata e digerita. Infine può anche darsi che, almeno in parte, a farla fuori siano stati batteri.
Il mistero per il momento resta, ed è globale, così come internazionale è la missione scientifica che lo ha portato sotto gli occhi di tutti. La spedizione Malaspina è stata infatti
chiamata così in onore di una missione salpata da Cadice a fine Settecento, e affidata dal re di Spagna all’esploratore italiano Alessandro Malaspina. Gli scienziati al lavoro oggi provengono invece da tutto il mondo: hanno circumnavigato il pianeta a bordo di due navi per nove mesi attraversando il Pacifico, l’Atlantico e l’Oceano Indiano, e in questo viaggio hanno scelto 313 pezzi di mare da studiare. I duecentomila campioni che hanno raccolto sono stati messi uno per uno al microscopio, alla ricerca di plastica. Così hanno dimostrato che ormai non c’è un angolo del pianeta immune dai nostri rifiuti e che l’88 per cento delle superfici marine mostra segni di presenza di microplastiche, soprattutto nel nord del Pacifico, dove si accumula il 33-35 per cento del totale. Non solo: gli odierni navigatori della Malaspina hanno mostrato che il tipo di plastica che inquina i mari è soprattutto polietilene e polipropilene, cioè quella che usiamo tutti i giorni come contenitore per bevande e cibo, e quella dei giocattoli. Sono proprio i nostri rifiuti, insomma, mangiati a tonnellate dagli abitanti dei mari.
Related Articles
Acciaio e Ambiente. Mittal lascia l’ex ILVA: 20mila operai a terra
Annuncio dell’ad Morselli: impossibile portare avanti il piano. Ma le ragioni sono solo economiche. Entro 30 giorni tutta l’azienda torna alla gestione commissariale
L’enciclica di Bergoglio sull’ambiente «Conversione ecologica universale»
L’appello nella «Laudato si’», tra critiche ai poteri economici e denuncia dell’iniquità globale
Climate change. Al G20 di Osaka per i big lo stop al carbone resta tabù
I paesi presenti, Cina in testa, producono il 79% delle emissioni di Co2. Al summit si parlerà di inquinamento marino da residui plastici, ma senza vincoli