Senza giusta pena Italia (ri)condannata

by redazione | 2 Luglio 2014 11:20

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Con un’altra con­danna della Corte euro­pea dei diritti umani, per l’Italia non poteva aprirsi in modo peg­giore il seme­stre di pre­si­denza euro­pea. Per la seconda volta in pochi giorni, i giu­dici di Stra­sburgo hanno riscon­trato una vio­la­zione dell’articolo 3 della Con­ve­zione per le vio­lenze delle forze dell’ordine su per­sone fer­mate o arre­state. Sot­to­li­neando soprat­tutto ancora una volta, dopo il recente caso di Dimi­tri Alberti, che gli agenti col­pe­voli degli atti di vio­lenza – avve­nuti sta­volta nel car­cere di San Seba­stiano di Sas­sari nell’aprile del 2000 – non hanno rice­vuto pene pro­por­zio­nali al reato commesso.

Le cause di que­sta sorta di “impu­nità” sono molte: un pro­cesso che si è allun­gato per oltre otto anni con la con­se­guenza che molti col­pe­voli sono stati pro­sciolti per pre­scri­zione dei reati com­messi, e anche per l’inefficacia dell’azione san­zio­na­to­ria. Secondo quanto appu­rato dai giu­dici euro­pei, infatti, sono state com­mi­nate pene troppo leg­gere. Ad esem­pio, uno degli agenti è stato con­dan­nato per omessa denun­cia e dun­que san­zio­nato solo con una multa da 100 euro, men­tre altri suoi col­le­ghi sono riu­sciti ad otte­nere la sospen­sione della con­danna alla reclu­sione. Non solo: la Cedu rileva anche la dif­fi­coltà di appu­rare se gli agenti peni­ten­ziari respon­sa­bili delle vio­lenze siano stati poi ade­gua­ta­mente sot­to­po­sti ad azione disci­pli­nare. Il governo ita­liano non lo dice. Per i giu­dici di Stra­sburgo, però, il dete­nuto che ha pre­sen­tato il ricorso — Valen­tino Saba, che fu tra coloro che subi­rono vio­lenze e che oggi dovrà rice­vere dall’Italia un risar­ci­mento di 15 mila euro per danni morali, anche se lui ne aveva chie­sti 100 mila — è stato sot­to­po­sto a trat­ta­mento inu­mano e degra­dante ma non a tor­tura, come soste­neva l’ex dete­nuto. Nel pro­ce­di­mento davanti alla Cedu si erano costi­tuiti parte «ami­cus curiæ», soste­nendo le ragioni di Saba, il Par­tito Radi­cale ita­liano, quello Trans­na­zio­nale trans­par­tito e l’associazione «Non c’è pace senza giustizia».

All’epoca dei fatti, il caso venne sol­le­vato pro­prio sul mani­fe­sto dall’associazione Anti­gone. Che nel terzo rap­porto sulla con­di­zione delle car­ceri scri­veva: «Il 27 marzo 2000 i dete­nuti del car­cere San Seba­stiano di Sas­sari ini­zia­rono una pro­te­sta paci­fica rumo­reg­giando con le sbarre della cella a mez­za­notte meno un quarto. Col­pi­rono con le posate sulle grate, danno fuoco alle len­zuola, fecero esplo­dere le bom­bo­lette di gas. Alla loro pro­te­sta seguì quella dei diret­tori. A causa del loro scio­pero, infatti, i dete­nuti furono lasciati senza viveri del “soprav­vitto” e senza siga­rette. Il 3 aprile 2000 venne orga­niz­zato uno sfol­la­mento gene­rale dei dete­nuti da tra­sfe­rire in altri isti­tuti dell’isola. Durante la tra­du­zione una tren­tina di dete­nuti ven­nero bru­tal­mente pic­chiati. I parenti pro­te­sta­rono. Scat­ta­rono le prime denunce, l’associazione Anti­gone il 18 aprile 2000 incon­trò i ver­tici dell’Amministrazione peni­ten­zia­ria. Il 20 aprile le madri dei gio­vani dete­nuti pic­chiati orga­niz­za­rono una fiac­co­lata. Il 3 mag­gio 2000 la Pro­cura emise 82 prov­ve­di­menti di custo­dia cau­te­lare, di cui 22 in car­cere e 60 agli arre­sti domi­ci­liari. Ven­nero coin­volti il Prov­ve­di­tore regio­nale dell’Amministrazione peni­ten­zia­ria, la diret­trice, il coman­dante del reparto».

E invece della con­danna euro­pea si dice «sor­preso» il segre­ta­rio del Sappe, Donato Capece: «Lo abbiamo detto e lo voglio riba­dire: a Sas­sari non ci fu nes­suna spe­di­zione puni­tiva con­tro i dete­nuti ma si tenne una neces­sa­ria ope­ra­zione di ser­vi­zio per rista­bi­lire l’ordine in car­cere a seguito di una dif­fusa pro­te­sta dei ristretti». Ecco per­ché, molto pro­ba­bil­mente, come sot­to­li­nea la Cedu, gli autori di quei «trat­ta­menti inu­mani e degra­danti» non subi­rono un’adeguata azione disci­pli­nare, man­te­nendo il loro posto in servizio.

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