Terzo giorno di guerra già cento morti a Gaza

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GERUSALEMME. QUELLE bandiere dell’Isis — il Califfato islamico dell’Iraq e del Levante — comparse giovedì al funerale di un boss della Jihad islamica ucciso a Gaza da un bombardamento mirato, hanno confermato all’Aman — il servizio segreto militare israeliano — che la penetrazione nella Striscia di nuovi gruppi jihadisti sta crescendo.
PENETRAZIONE rilanciata dalle “vittorie” in Siria e in Iraq e ha messo radici nel Sinai e nella debole Giordania. Ma ci sono anche cellule dormienti — come quella sgominata a Hebron in Cisgiordania un paio di anni fa. Il messaggio salafita percorre anche la Palestina, come un fiume carsico, facendo breccia nelle giovani generazioni che hanno conosciuto soltanto l’occupazione militare.
«Il Medio Oriente è sempre più preda di un Islam estremista, che bussa anche alle nostre porte», ha denunciato ieri il premier israeliano Netanyahu dalla “Kyriat” di Tel Aviv, la cittadella della Difesa dove c’è il comando delle operazioni militari a Gaza. Per far fronte a questa minaccia, ha aggiunto, «dobbiamo prenderci cura di Hamas a Gaza, e lo facciamo. Ma non basta ». I rapporti dell’intelligence sulla sua scrivania descrivono infatti un oscuro scenario futuro, perché tra i gruppi filo-Isis nella Striscia e quelli del Sinai
c’è ormai un’unità di azione, come dimostrano in questi giorni di guerra i quattro missili sparati contro il sud di Israele. Provenivano dalla penisola egiziana dove — nonostante la repressione del nuovo Egitto del presidente Al Sisi — decine di gruppi integralisti armati controllano vaste zone, specie quelle al confine con Israele. Una fonte della sicurezza israeliana spiega che un gruppo che era prima affiliato ad Al Qaeda — Ansar al Bayt Maqdis, protagonista degli attacchi terroristici più sanguinosi in Egitto e contro Israele — è
passato adesso “armi e bagagli” con gli uomini del nuovo califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Per i tunnel del contrabbando — secondo l’Aman israeliano — sono passati migliaia di combattenti da un lato e dall’altro, flusso che si è interrotto qualche mese fa, ma che è ripreso se soltanto la settimana scorsa la sicurezza egiziana ha arrestato 15 miliziani dell’Isis che dal Sinai stavano entrando a Gaza.
«La Striscia di Gaza non è più solo una minaccia per Israele ma anche per l’Egitto e l’unico modo per affrontare questa minaccia è attraverso la cooperazione », spiega Khaled Abu Tomeh del Gatestone Institute, «nonostante le smentite di Hamas ci sono moltissime evidenze che l’Isis o il “califfato islamico” ha delle sue katiba (le unità di combattimento) che hanno iniziato a operare nella Striscia». Non ufficialmente, anche i servizi segreti del Presidente Abu Mazen pensano che i seguaci dell’Isis siano i responsabili di alcuni degli attacchi missilistici contro Israele in questi giorni.
Da quando ha assunto il controllo di Gaza nel 2007 Hamas ha visto un costante declino nel suo sostegno popolare e la nascita di altri gruppi terroristici islamisti come la Jihad islamica e le formazioni salafite. Meno di due mesi fa, sull’onda delle vittorie in Iraq e in Siria, i leader delle fazioni salafite della Striscia riuniti nella Al Quds Mujahiddin Shura hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e al suo califfo Al Baghdadi. «La presenza dell’Isis sta crescendo a Gaza e molti seguaci del salafismo radicale forniscono il supporto logistico e organizzativo», spiega Rafi Green del Middle East Media Research Institute, «il loro account Twitter ha decine di migliaia di seguaci».
Per Israele l’ascesa dei gruppi del jihadismo globale a Gaza e l’isolamento di Hamas nel mondo arabo crea un insieme diverso di problemi da affrontare. «Dobbiamo capire se è nell’interesse di Israele indebolire o distruggere Hamas con l’Operazione Protective Edge», dice Johanthan Schanzer — analista di Counterterrorism della Hebrew Univesity e consulente dell’Amministrazione Usa per il terrorismo islamico. Se Hamas uscirà gravemente indebolito da questa operazione militare, gruppi salafiti e jihadisti potrebbero prendere il controllo della Striscia. «Se le operazioni israeliane creeranno un vuoto, questo sarà occupato da altri gruppi jihadisti che sarebbero peggio di Hamas», spiega ancora Schanzer, per questo il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Yaalon non hanno indicato nella distruzione di Hamas l’obiettivo delle operazioni militari in corso. Israele si sta concentrando sulla minaccia immediata di mettere fine al lancio dei missili da Gaza. Operazione per la quale «potrebbero essere necessari mesi».



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