Gaza. Giorno di sangue Vecchi e bambini tra le 100 vittime

Gaza. Giorno di sangue Vecchi e bambini tra le 100 vittime

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GERUSALEMME — «Siamo gli infermieri, adesso potete uscire». Adesso sono tre ore senza i cannoni dei carrarmati che sparano proiettili tra le case, senza i missili dell’aviazione e il rumore costante dei droni, come tagliaerba che affettano il cielo. Adesso arriva dopo la notte più sanguinosa da quando le truppe israeliane sono entrare nella Striscia di Gaza: i morti palestinesi nel quartiere di Shajaiya sono più di sessanta, tra loro vecchi, bambini, chi non è riuscito o non è potuto fuggire, chi ha scelto di restare.
Da tre giorni l’esercito israeliano avvertiva di abbandonare i palazzi, la zona sarebbe diventata campo di guerra. I fondamentalisti di Hamas invocavano la resistenza, chiedevano ai civili di non abbandonare l’area, minacciavano: «Abbiamo consegnato una granata a ogni abitante, da lanciare invece delle pietre».
Negli scontri della notte tra sabato e domenica sono stati uccisi 13 soldati israeliani, le perdite più gravi in una sola battaglia da quella nel villaggio libanese di Bint Jbeil, durante il conflitto contro Hezbollah di otto anni fa. E da quando il premier Benjamin Netanyahu ha dato l’ordine di procedere con l’invasione, i militari morti sono 18: più dei caduti totali nelle due precedenti operazioni a Gaza (2009 e 2012). Hamas proclama di aver catturato un soldato, fornisce il nome (Shaul Aron) e il numero sulla piastrina: l’identità è però la stessa di uno dei caduti e il ministero della Difesa israeliano smentisce che sia stato preso vivo.
Sarah Hussein dell’agenzia France Presse descrive Shajaiya «come un paesaggio lunare desolato e disseminato di cadaveri». Il fumo nero oscura il cielo, le prime ambulanze riescono a percorrere il vialone durante la tregua umanitaria chiesta dalla Croce Rossa a Israele e ad Hamas. I soccorritori si muovono controcorrente, gli abitanti fuggono a migliaia dalla zona, scalzi, senza essere riusciti a prendere nulla da casa, gruppi di bambini soli che si tengono per mano, anziani sulla sedia a rotelle. Mischiati tra loro anche miliziani armati con il volto coperto dai passamontagna, i fucili mitragliatori avvolti nei lunghi scialli. Tra i morti di Shajaiya c’è il figlio (con tutta la famiglia) di Khalil al-Haya tra i leader del movimento. Che alla radio, la sua voce diffusa a Gaza, promette vendetta: «Otterremo una grande vittoria, il suo sangue e quello degli altri martiri non sarà stato versato invano».
I portavoce dell’esercito israeliano dicono che dal quartiere sono stati lanciati l’8 per cento dei 1.700 missili sparati contro le città israeliane in questi tredici giorni di guerra. L’incursione di terra — spiegano — era necessaria per distruggere le batterie che non potevano essere attaccate dal cielo con l’aviazione. I tredici soldati ammazzati appartengono tutti alla brigata Golani: 7 sono caduti quando il loro blindato è passato su una trappola esplosiva. Hamas sostiene anche di aver utilizzato un attentatore suicida. I miliziani uccisi dall’inizio dell’offensiva di terra sarebbero 130.
«Le vittime civili — commenta Netanyahu in un’intervista alla emittente americana Cnn — non sono volute da noi ma da Hamas. Sfruttano le morti telegeniche dei palestinesi per la loro causa». I morti nella Striscia dall’inizio degli scontri sono almeno 436 (100 solo ieri) oltre 3.000 mila i feriti. «In questo momento l’esercito è concentrato nell’eliminare i tunnel scavati dai fondamentalisti: questa fase dovrebbe essere conclusa in 2-3 giorni. L’offensiva generale andrà avanti fino a quando non tornerà la calma, continueremo a combattere fino alla fine. Questa volta dopo il cessate il fuoco, dovrà essere stabilito un programma di smilitarizzazione della Striscia, perché non si trasformi ancora in una fortezza del terrore equipaggiata dall’Iran». Anche ieri gli estremisti sono riusciti a lanciare oltre 80 razzi verso Israele, dall’inizio del conflitto due civili sono morti.
Abu Mazen denuncia il «crimine contro l’umanità» e proclama tre giorni di lutto in Cisgiordania. Il presidente palestinese è in Qatar per provare a mediare un cessate il fuoco. A Doha avrebbe incontrato anche Khaled Meshaal, tra i leader di Hamas, e Ban Ki-moon, il segretario generale delle Nazioni Unite, che è atteso in Israele.
Per ora i negoziati attraverso il Cairo sembrano fermi. Gli egiziani hanno deciso di tenere aperto «senza limiti di tempo» il valico di Rafah al sud della Striscia. Era una delle richieste di Hamas per ritornare alla calma. Gli israeliani non sono pronti ad accettare l’intervento del Qatar (tra i primi finanziatori del movimento fondamentalista) e della Turchia. Netanyahu ha accusato di «antisemitismo» il premier turco Recep Tayyip Erdogan, che aveva detto: «Siete più barbari di Hitler».
Davide Frattini



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