Canale di Sicilia, “quei corpi come in una fossa comune”

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I morti non sono tutti uguali. E le tra­ge­die nem­meno. Però al capo della squa­dra mobile della que­stura di Ragusa, Anto­nino Cia­vola, istin­ti­va­mente è venuta in mente la peg­giore di tutte dopo aver distolto lo sguardo dalla ghiac­ciaia del pesche­rec­cio che per tutta la gior­nata di ieri ha scon­volto i soc­cor­ri­tori nel porto di Poz­zallo: “Sono acca­ta­stati l’uno sull’altro, come all’interno di una fossa comune, che ricorda Auschwitz”.

Un muc­chio di cada­veri nel locale dove di solito ago­nizza il pesce. Un’immagine agghiac­ciante che dice di aver visto “sol­tanto nei libri di sto­ria”, e non c’è defi­ni­zione migliore per dire dell’inadeguatezza di noi tutti che in que­sta sto­ria ci siamo den­tro senza tro­vare la forza per cam­biare il corso degli eventi. I morti fanno paura e ci vuole una buona dose di corag­gio anche solo per guar­darli. “E’ un’esperienza dram­ma­tica, la stiamo vivendo tutti quanti, e per chi sta ope­rando è anche molto pesante”, spiega il pro­cu­ra­tore di Ragusa Car­melo Petra­lia dopo aver fatto un sopral­luogo sul molo.

Ci sono poche parole il giorno dopo l’ennesima strage di migranti, circa trenta esseri umani sof­fo­cati nella stiva di un bar­cone lungo appena venti metri con a bordo quasi sei­cento per­sone. Dopo averne sen­tite di orri­bili e di disgu­sto­sa­mente ipo­crite, forse è meglio il silen­zio. Sul molo è quasi un fune­rale, con le auto­mo­bili delle pompe fune­bri par­cheg­giate e le bare che aspet­tano il loro carico per essere riem­pite. Le uni­che parole di verità, come spesso accade, arri­vano da un prete con il com­pito di rap­pre­sen­tare un vescovo. “Ci vuole più cuore, altri­menti le parole girano a vuoto e non ser­vono a niente, dob­biamo pre­gare per i nostri fra­telli e le nostre sorelle, ma soprat­tutto aprirci a loro”, così don Michele, par­roco di Santa Maria Por­to­salvo e San Paolo, bene­dice le salme che solo dopo molte ore di com­pli­cato lavoro ver­ranno por­tate a terra. Il suo più che un appello è una som­messa rifles­sione, “spero che dopo que­sta com­mo­zione e mobi­li­ta­zione non si ritorni indie­tro dimen­ti­can­dosi quello che è acca­duto, c’è biso­gno dell’impegno di tutti e delle isti­tu­zioni, e se hanno già fatto occorre che fac­ciano di più”.

Ancora una volta, non hanno fatto nulla. Al limite, senza per­dersi in sen­ti­men­ta­li­smi, qual­che poli­tico adesso invoca la sal­vi­fica figura del nuovo Com­mis­sa­rio euro­peo per l’immigrazione. Un com­mis­sa­rio in più, que­sta sarebbe la rispo­sta dell’Europa. Inu­tile aggiun­gere che a Poz­zallo, di fronte allo scafo gal­leg­giante pieno di cada­veri, ieri non c’era alcun rap­pre­sen­tante delle isti­tu­zioni ita­liane. E Stra­sburgo era su Marte. Forse è meglio per tutti, per­ché dopo l’ennesima strage del medi­ter­ra­neo non sarebbe stato così age­vole alle­stire una dolo­rosa messa in scena cre­di­bile davanti a un’altra teo­ria di bare. La pre­senza della poli­tica non è più richie­sta, e la sua assenza non scan­da­lizza più nes­suno. Quando si dice la per­dita di cre­di­bi­lità dal volto disumano.

C’era solo il sin­daco, Luigi Amma­tuna, una brava per­sona: “Ho la morte nel cuore, come se avessi rice­vuto un pugno nello sto­maco”. Il sin­daco con­ti­nua a soste­nere l’operazione Mare Nostrum, “l’Italia così ha evi­tato un numero mag­giore di morti”, e non ha inten­zione di fare la vit­tima della situa­zione, “sono orgo­glioso di essere sin­daco di que­sta città acco­gliente”. Gli abi­tanti e i turi­sti sono dispia­ciuti per quello che è suc­cesso, e comun­que sono suf­fi­cienti pochi metri di distanza per esor­ciz­zare l’idea della morte: “Poz­zallo sa degli sbar­chi attra­verso i gior­nali e la tele­vi­sione: il porto è lon­tano un chi­lo­me­tro dal paese che non se ne accorge”.

I vivi, intanto, rac­con­tano. Sono le dram­ma­ti­che sto­rie di sem­pre, testi­mo­nianze che forse ser­vi­ranno alla pro­cura di Ragusa per con­durre le inda­gini del caso (sareb­bero già stati indi­vi­duati due sca­fi­sti del pesche­rec­cio pro­ve­niente dalla Libia con il suo carico di morte). “Siamo stati trat­tati come bestie dai libici” rac­con­tano i super­stiti, libici che avreb­bero com­piuto “vio­lenze inau­dite nei con­fronti di tutti, ma in par­ti­co­lare degli uomini del cen­tro Africa”. Tra le per­sone ascol­tate dagli inqui­renti ci sono anche amici e parenti delle vit­time: “Abbiamo pro­vato a sal­varli appena ci siamo resi conto di quello che stava acca­dendo, abbiamo fatto di tutto ma pur­troppo era tardi, sem­brava dor­mis­sero, non pen­sa­vamo che fos­sero tutti morti”. Tutti incol­pano i traf­fi­canti libici. “Ci hanno messo lì den­tro come bestie e non pote­vamo uscire per­ché sopra era tutto pieno, non ci pote­vamo muo­vere. Abbiamo chie­sto di poter tor­nare indie­tro per­ché era­vamo troppi e rischia­vamo, ma non c’è stato niente da fare: ci hanno detto ormai siete qui e dovete arri­vare in Italia.

E’ andata meglio agli altri 235 migranti che ieri mat­tina sono sbar­cati al porto di Palermo, tra loro anche 25 donne e quat­tro minori. Altri 184 nel pome­rig­gio sono arri­vati a Tra­pani a bordo di un mercantile.



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