La battaglia di Gaza morti due soldati israeliani Hamas “festeggia” ma ora pensa alla tregua

La battaglia di Gaza morti due soldati israeliani Hamas “festeggia” ma ora pensa alla tregua

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GAZA. Piange Raed Fayum mentre riempie il bagagliaio della vecchia Subaru bianca di tutto quel che può prima di lasciare la fattoria di famiglia che si trova a trecento metri dalla “buffer zone”, la zona cuscinetto con confine israeliano che qui è larga meno di trecento metri. Siamo alla periferia di Jabalya, l’ultimo fazzoletto di terra coltivabile in questa zona. «E’ la seconda volta in due anni che scappiamo, l’altra volta sotto le bombe sono rimaste tutte le nostre vacche da latte, ci siamo rimessi in piedi con fatica e sacrifici e adesso devo abbandonare tutto un’altra volta, troveremo ancora tutti gli animali uccisi». Ma comunque riempie a dismisura le mangiatoie, apre il serbatoio dell’acqua dell’abbeveratoio, poi chiude
il cancello e se ne va in una scia di olio bruciato che esce dal tubo di scappamento, diretto verso una delle quaranta scuole che l’Unrwa ha aperto per accogliere questo nuovo esodo.
Non sarà facile per lui né per le migliaia di persone che stanno scappando con carretti tirati dai somarelli bianchi, in catorci caricati a dismisura, trovare posto. Perché in 24 ore quest’ondata di sfollati si è raddoppiata di numero, ieri sera erano quasi sessantamila i palestinesi che hanno varcato i cancelli blu di queste scuole. I bombardamenti proseguono a ritmo costante sulle zone di confine, cresce il numero delle vittime civili oltre 340 palestinesi uccisi, 59 erano bambini con meno di 12 anni. Dei duemila feriti passati per gli ospedali in questi giorni, più di 500 sono minorenni. Un dramma nel dramma.
Hamas e gli altri gruppi invece nascondono le loro perdite che non entrano in questa terribile contabilità, i nomi dei miliziani uccisi restano segreti. Come quelli caduti nello scontro avvenuto all’esterno di un tunnel sotto il confine — nella zona centrale della Striscia — mentre cercavano di infiltrarsi in Israele. Una sparatoria nella quale sono stati uccisi anche due soldati israeliani. Vittime immediatamente rivendicate dalla propaganda di Hamas, che ha sottolineato il successo «dell’azione oltre le linee nemiche». Il movimento islamista in serata ha però anche riproposto le sue condizioni per una tregua con Israele: la “lista”
è stata inviata anche al presidente palestinese Abu Mazen, che oggi vedrà a Doha il leader di Hamas Khaled Meshaal. Ma per Israele quelle condizioni – tra cui l’apertura dei valichi di Gaza – non sono accettabili.
Solo nella “Jabalya Primary School” dell’Unrwa ci sono seimila persone stivate ovunque, nelle aule, in palestra, negli uffici, il cortile è un tappeto di umanità accampata alla meglio, sotto un sole che ieri bruciava a 35 gradi. I bambini del clan Atter hanno vissuto tre guerre in poco più di cinque anni, ogni volta in fuga dalle loro case abbandonando tutto. Alcuni sembrano catatonici, altri si aggrappano alle loro madri. Ahmed se ne sta da solo su una panchina dove la sua famiglia ancora una volta cercato rifugio. «Hanno bombardato molto vicino a casa mia», racconta il ragazzo, che non alza mai lo sguardo evitando il contatto visivo, «ho paura». Le sorelle Mariam e Sada Atter raccontano di aver messo solo un paio di cose in sacchetti di plastica prima di precipitarsi fuori dalle loro case con i loro 10 figli al seguito. Omar, il marito di Mariam, soffre di disturbi psicologici da stress e la sua testa non funziona normalmente. I membri del clan Atter hanno “occupato” una parte del secondo piano, con più di 40 persone in ogni aula. Mariam, Sada e i bambini sono pigiati nella metà di un’aula, il loro spazio è delimitato da panche. Un’altra famiglia del clan, “abita” nell’altra metà della stanza. Una coperta appesa in mezzo offre l’unica privacy possibile. Hanno trascorso la notte sul pavimento per mancanza di materassi, ma la preoccupazione di Mariam sono i bambini, sono diventati appiccicosi, aggressivi, i più piccoli piangono in continuazione, sono incontinenti, inappetenti. Gli esperti dell’Unicef di Gaza spiegano che sarà sempre più difficile sanare queste vittime dai traumi ripetuti. «Per la maggior parte dei bambini è la terza volta», spiega Bruce Grant, il capo dell’Agenzia nella Striscia e nei Territori palestinesi, «si riduce la loro capacità di resistere al trauma e riprendersi. Alcuni non troveranno più la loro strada verso un senso di normalità e la paura diventerà la loro nuova norma di vita».
Abbandonata a sé stessa da Hamas — troppo impegnato nella sua insensata guerra contro Israele — la popolazione di Gaza si organizza come può. Il silenzio spettrale sulla Massri Street ieri pomeriggio è spezzato di colpo. Qualcuno affacciato alla finestra ha scaricato l’intero caricatore di una rivoltella in aria e la strada prima deserta invasa solo dalla sabbia e dalla immondizia, si popola di colpo di gente che corre all’impazzata il più lontano possibile. E’ il nuovo sistema di allarme escogitato per avvertire i vicini che è stato ricevuto un sms dall’esercito israeliano che dà cinque minuti per lasciare quel palazzo prima di un bombardamento “mirato”. Primitivo ma efficace. Si contrappone a quello tecnologico e innovativo che dall’altra parte del confine si può scaricare gratis sullo smartphone. Si chiama “Red Alert” e in Israele da una settima è primo nella classifica dei download. L’app è collegata al sistema di Difesa antimissile, grazie al gps del telefonino invia subito un messaggio agli utenti che si trovano nell’area dove potrebbe arrivare il missile sparato dagli artiglieri islamici se non viene intercettato dall’Iron Dome. Fra i 2600 “bersagli” colpiti dal bombardamento ieri è stato ancora il turno di Alauda, la zona abitata più vicina al valico di confine di Erez, unico passaggio — quand’era aperto — per entrare e uscire dalla Striscia. Qui c’era lo zoo di Gaza con a fianco un parco giochi, con l’unica area verde di tutta la città. Nella notte fra venerdì e sabato è stato centrato da bombe incendiare e ad alta penetrazione che hanno bruciato ogni cosa, lasciando soltanto un tappeto di cenere e voragini larghe una decina di metri. Il cancello è spalancato e gli animali sopravvissuti sono liberi, tranne una scimmia rimasta nella sua gabbia incredibilmente intatta che lancia versi strazianti, nessuna traccia degli altri 4 esemplari che c’erano. Nemmeno del coccodrillo e dei cammelli, ma soprattutto della coppia di leoni che vennero orgogliosamente portati fin qui trasportati attraverso i tunnel del contrabbando con l’Egitto un paio di anni fa. Sarebbe una beffa sopravvivere ai bombardamenti per finire poi in bocca a un leone affamato.



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