Il Tesoro e il piano per la crescita: la spinta del Pil eviterà la manovra

Il Tesoro e il piano per la crescita: la spinta del Pil eviterà la manovra

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ROMA — Se uno la volesse mettere giù in termini duri, potrebbe dire che la Commissione europea ribadisce all’Italia la richiesta di una manovra aggiuntiva di correzione dei conti pubblici e che il governo continuerà ad ignorare questa richiesta. In realtà la questione è molto più sfumata. E il conflitto, ammesso che ci sia, non produce alcuna conseguenza pratica. Una Commissione arrivata alla fine del suo mandato dopo le elezioni europee del 25 maggio, ha presentato ieri le proposte di raccomandazioni per tutti i Paesi dell’Unione che verranno discusse nel consiglio europeo dei capi di Stato e di governo del 26 e 27 giugno, alla vigilia dell’inizio del semestre di presidenza italiana della stessa Ue, che comincerà il primo luglio. Presidenza che Matteo Renzi, forte del grande successo elettorale (40,8% dei voti), spenderà per correggere l’impostazione di politica economica in Europa in senso più favorevole alle misure per la crescita. In questo contesto non stupisce che ieri Palazzo Chigi non abbia voluto commentare le proposte di raccomandazioni di Bruxelles, lasciando, «nella più assoluta condivisione», il compito al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Il presidente del Consiglio guarda già al dopo, alla prossima Commissione, sicuro di far prevalere una linea che, senza rinnegare l’attenzione al risanamento dei bilanci nazionali, metta in primo piano gli obiettivi dell’occupazione e della crescita del prodotto interno lordo.
Del resto, la cosa che più premeva al governo era evitare la bocciatura formale del rinvio al 2016 del pareggio strutturale di bilancio e l’apertura di una procedura d’infrazione per l’eccessivo debito pubblico (il 134,9 del prodotto interno lordo quello programmato per il 2014). Una Commissione a fine mandato non se l’è sentita di portare fino alle estreme conseguenze il suo ragionamento che parte da stime pessimistiche rispetto a quelle che sorreggono il piano economico del governo Renzi. Secondo Bruxelles una crescita del Pil pari allo 0,8% nel 2014 non appare credibile, l’aumento sarà dello 0,6%, inoltre il programma di privatizzazioni, è scritto nelle raccomandazioni, appare «ambizioso», come anche quello dei tagli di spesa (spending review). Di conseguenza, dice la Commissione, bisogna «rafforzare le misure di bilancio per il 2014». È cioè necessaria una manovra aggiuntiva di correzione dei conti pubblici, tanto più perché il governo Renzi, rinviando il pareggio strutturale di bilancio, ha messo in cantiere un aumento del debito nel 2014 (dal 132,6% del Pil del 2013 al 134,9%) anziché una sua riduzione come vogliono le regole europee.
Ma la manovra aggiuntiva non ci sarà, ha confermato ieri Padoan con una nota ufficiale, perché il governo è sicuro delle sue stime di crescita e giudica che quelle di Bruxelles siano troppo basse poiché «non tengono conto di alcune voci relative alle minori spese pianificate ma non ancora specificate nel dettaglio e ai maggiori introiti, come quelli attesi dalle privatizzazioni» (si parte con Poste ed Enav). Il governo, conclude la nota, «è fiducioso che gli interventi pianificati consentiranno di raggiungere gli obiettivi indicati nel Programma di stabilità».
Leggendo in sequenza le raccomandazioni e il comunicato del ministro dell’Economia si può concludere che il rinvio del pareggio strutturale di bilancio appare ormai un dato acquisito e che tutta la partita si gioca sull’andamento del Pil. Se esso crescerà, come dice il governo italiano, dello 0,8% quest’anno e dell’1,3% nel 2015, e se si verificheranno altre importanti condizioni (taglio della spesa pubblica e introiti da privatizzazioni secondo gli obiettivi, tassi di interesse sotto controllo, maggiori esportazioni trainate dalla ripresa internazionale) anche il deficit e il debito riprenderanno a scendere. Se invece la crescita sarà più bassa, come dice la Commissione, e le privatizzazioni e la spending review non porteranno i risultati attesi, il percorso di risanamento non solo subirà un ritardo ma rischierà di saltare. A quel punto l’Italia finirebbe nuovamente in zona infrazione, per il deficit (se superasse nuovamente il 3%) e per il debito che non si ridurrebbe come impone il Fiscal compact.
I dati sul Pil noti finora non autorizzano l’ottimismo. Nel primo trimestre c’è stato un calo dello 0,1% e per il secondo trimestre l’Istat prevede un aumento tra lo 0,1 e lo 0,4%. Per raggiungere lo 0,8%, insomma, bisognerebbe avere una decisa accelerazione nella seconda parte dell’anno. Il governo ci conta, sicuro degli effetti positivi delle cose già fatte ( 80 euro in busta paga, liberalizzazione dei contratti a termine, edilizia scolastica, pagamenti dei debiti commerciali con le imprese) e di quelle in arrivo (misure a favore degli investimenti, riforma della giustizia, della pubblica amministrazione e del fisco). «È evidente — spiegano i tecnici del governo — che se a luglio dovessimo vedere che il Pil non è ripartito per nulla, dovremmo rivedere gli obiettivi. Ma è altrettanto vero che nessuno più in Europa può pensare di riproporre quel circolo perverso dove manovre di aggiustamento dei conti deprimono i consumi e quindi la crescita e quindi fanno salire il deficit sul Pil e infine il debito. Tutto questo non ha funzionato». Già, ma per non ritrovarsi con manovre aggiuntive magari a base di tasse, bisogna tagliare di molto la spesa pubblica improduttiva. Finora non c’è riuscito nessuno.
Enrico Marro



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