by redazione | 11 Giugno 2014 9:19
L’annuncio potrebbe essere imminente. Ma anche se Russia e Ucraina dovessero trovare un accordo sul prezzo delle forniture del gas e sul pagamento degli arretrati, al termine dei colloqui in corso in questo ore a Bruxelles, la questione energia è destinata a dividere ancora a lungo l’Unione europea e il Cremlino.
L’accordo con l’Ucraina è fondamentale per garantire una tregua politica tra i due paes, ma anche per assicurare la continuità delle forniture all’Occidente, visto che da Kiev passa più della metà del metano russo destinato all’Eurozona. La quale dipende per il 35% del fabbisogno annuale dai contratti con il colosso Gazprom, controllato direttamente dal Cremlino. Una dipendenza da cui Bruxelles si vorrebbe sganciare (anche su pressione degli Usa). Ecco spiegato il motivo per cui, solo tre giorni fa, la Bulgaria ha annunciato di aver sospeso i lavori per la costruzione della parte a terra del gasdotto South Stream, che porterà il gas della Siberia in Europa passando sotto il Mar Nero e saltare così il passaggio in Ucrania, per violazione delle norme Ue sugli appalti. In sostanza, sono state concesse facilitazioni (legali e fiscali) al consorzio guidato dal gruppo russo Stroytrangaz, controllato al 63% da Volga group che fa capo all’oligarca Gennady Timchenko, sesto uomo più ricco della Russia e fedelissimo di Putin. Una decisione che ha spaccato ancora di più il governo di Sofia (i socialisti sono filo-russi mentre i centristi filo-europei) tanto che ieri è arrivata la notizia che si terranno elezioni anticipate.
Ma le manovre della Ue per ostacolare la realizzazione del South Stream vanno inserite della politica di sganciamento da Gazprom. Per favorire infrastrutture alternative. A partire dal Nabucco, il “tubo” sponsorizzato da Bruxelles che ha un percorso parallelo al South Stream. Nonché dal Tap, il cui progetto fa capo a un consorzio guidato dal colosso di stato norvegese Statoil, con approdo finale in provincia di Lecce. Entrambi dovrebbero portare gas del Caucaso in Europa occidentale, con il Tap più avvantaggiato perché ha già l’accordo per la fornitura, dai giacimenti dell’Azerbajian.
Ma i russi non hanno nessuna intenzione di mollare il South Stream. Dopo essere rimasto una linea tratteggiata sulla cartina europea per una decina d’anni, Gazprom negli ultimi mesi ha dato un’accelerata al progetto e chiuso tutti i contratti per costruire l’opera. Nel giro di tre anni vorrebbe portare a termine oltre 2.500 chilometri di tubi, con un costo preventivato di 45 miliardi, per portare in Europa occidentale fino a 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Giusto per dare l’idea della quantità, poco meno del fabbisogno dell’Italia.
Una situazione complicata dagli interessi che coinvolgono imprese controllate dai governi di stati membri della Ue. Del consorzio guidato dalla società del Cremlino, hanno quote del 20% anche l’italiana Eni e la francese Edf. E, guarda caso, entrambe di recente hanno chiuso rinegoziazioni favorevoli per la fornitura di gas con Gazprom. Per non dire che è stata Saipem, leader nella costruzione di infrastrutture petrolifere e controllata da Eni, ad aggiudicarsi per 2,4 miliardi il primo lotto dei lavori per la posa sul fondo del Mar Nero di una linea del gasdotto. Saipem, tra l’altro, sta proseguendo nelle opere propedeutiche all’avvio del cantiere sottomarino, previste per la fine dell’anno e non avrebbe ricevuto dai russi nessun avviso di marcia indietro nel progetto.
Ma i segnali da guerra fredda sull’energia si fanno sempre più numerosi. Sempre ieri, l’Antitrust della Lituania ha inflitto una multa da 35,7 milioni di euro a Gazprom per ostacolo alla concorrenza: avrebbe illecitamente bloccato un’intesa tra la società di distribuzione elettrica locale e un altro forniture per ottenere gas a prezzi più convenienti con «conseguenze negative per i consumatori». Tutto questo mentre sta per concludersi l’indagine antitrust di Bruxelles proprio sul monopolio di Gazprom nei paesi dell’Est, che dipendono tra il 50 e il 100% dal metano siberiano.
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