Sinistra e ambientalismo per una nuova agenda politica
Strasburgo . Abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti italiani della sinistra, dell’ambientalismo, dei movimenti, di misurarsi con un orizzonte e con le possibilità di un lavoro comune. È emersa la necessità di un’altra politica capace di costruire un’alternativa e mettere fine al trentennio liberista. Disoccupazione di massa, disuguaglianze record e cambiamento climatico possono trovare una soluzione solo nella «democrazia praticata». Un valido antidoto all’antipolitica e un terreno di convergenza per i movimenti
Le elezioni europee del 25 maggio hanno sancito la vittoria del Partito popolare. I partiti e i movimenti di destra che associano un forte antieuropeismo a derive populiste e xenofobe hanno conquistato circa 140 seggi su 751, 60 in più rispetto alle elezioni europee del 2009.
Ma l’appuntamento elettorale ha segnato anche l’avanzata dei partiti della sinistra europea e dei Verdi, che a Bruxelles portano 97 parlamentari.
Si può partire da questo risultato per immaginare la costruzione di uno spazio politico che, sulla base di un’agenda condivisa e di un superamento delle divergenze, tenti un’inversione della rotta d’Europa?
Abbiamo chiesto innanzitutto quale significato può avere questo risultato elettorale, quali riflessioni e quali mobilitazioni può portare.
In secondo luogo, sia nella Sinistra europea che tra i verdi, c’è una forte frammentazione tra forze politiche e spesso le posizioni sono lontane; abbiamo dunque chiesto quali siano, se ci sono, possibilità di convergenza e quali potrebbero essere le priorità condivise per l’agenda europea del dopo-austerità e per quella del semestre di presidenza italiana della Ue. Naturalmente non manca una specificità italiana, legata alla possibilità di creazione di uno spazio politico in Italia.
A rispondere alle nostre domande sono Giulio Marcon, deputato di Sinistra ecologia e libertà, Grazia Naletto, presidente di Lunaria e co-portavoce di Sbilanciamoci!, Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, e Corrado Oddi, del comitato operativo Lista Tsipras, che proviene dall’esperienza del movimento per l’acqua e della Funzione pubblica Cgil.
Oggi un europarlamentare su otto è rosso o verde. Lo considerate un risultato significativo delle elezioni del 25 maggio?
Giulio Marcon: Alle elezioni europee non c’è stata solo una vittoria del fronte populista e xenofobo, ma anche l’avanzata del campo di sinistra e ambientalista che ha un’altra idea di Europa, alternativa a quella dell’austerità. È un fatto che viene sottovalutato ma di cui bisogna tenere conto nella costruzione di un’altra Europa.
Il Pse di Schulz invece di essere subalterno alle larghe intese e all’austerity dovrebbe mostrarsi disponibile a costruire con i rosso-verdi un campo di forze che guarda all’Europa sociale, del lavoro e dell’ambiente.Nel parlamento europeo andrebbe costruito con i «rosso-verdi» un gruppo trasversale o un «patto di consultazione», a prescindere dall’appartenenza alle varie famiglie politiche, ormai in crisi e da rimescolare.
Grazia Naletto: In questo quadro certo è difficile immaginare un’inversione di tendenza significativa delle politiche europee. Ma 97 parlamentari verdi e della sinistra europea non sono pochi: consentirebbero, se ci fosse la volontà politica, di rafforzare in Europa la rappresentanza dei ceti sociali che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi, dalle politiche di austerità e dall’egemonia di un modello di sviluppo predatorio e onnivoro che è insostenibile.
Corrado Oddi: Anche io vedo un risultato complessivamente buono. Soprattutto in considerazione del fatto che veniamo da anni di egemonia del pensiero liberista in Europa e, ancor più, di fronte ad uno scenario che, dopo le elezioni, vedrà la costruzione, anche nel Parlamento Europeo, di una coalizione di larghe intese tra popolari e socialdemocratici.
Da questo punto di vista, la cultura politica e l’iniziativa dei gruppi parlamentari rosso e verdi possono ben rappresentare un’alternativa al pensiero unico dell’austerità e dei vincoli di bilancio.
Cogliati Dezza: A me invece sembra una rappresentanza troppo esigua. E che questo avvenga in una fase di crisi così devastante è ancora più preoccupante. In Italia le aggregazioni della sinistra pagano il prezzo della mancanza di visione strategica e di un’idea di Europa molto difensiva. In Europa i verdi si confermano la quarta forza politica, con percentuali a due cifre, ma in Italia la rappresentanza politica dell’ambientalismo è in crisi profonda e non da oggi.
A Bruxelles, sia nella Sinistra europea che tra i verdi, c’è una forte frammentazione tra forze politiche e spesso le posizioni sono lontane. Pensate che ci siano possibilità di convergenza? Quali potrebbero essere le priorità condivise per l’agenda europea del dopo-austerità e per quella del semestre di presidenza italiana della Ue?
Grazia Naletto: La possibilità di convergenza si apre se c’è la capacità di uscire dalla propria autoreferenzialità e dai vizi politicisti. Non è solo e non è tanto un problema di appartenenze identitarie.
Il tema è quello dell’area sociale di riferimento. Chi intendono rappresentare a Bruxelles gli eletti in quest’area? La risposta a questa domanda fa la differenza e fornisce indicazioni sulle priorità che potrebbero consentire iniziative politiche comuni.
La crisi è iniziata nel 2008: ne sono stati ampiamente sottovalutati sino ad oggi gli effetti sociali. Lotta alle diseguaglianze, blocco delle politiche di austerità, riduzione del potere della finanza, un piano europeo per l’occupazione centrato sulla tutela dell’ambiente, sul rafforzamento del sistema di welfare, sul sostegno alla ricerca e sulla difesa e valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale europeo, potrebbero costituire la base da cui partire.
Una delle discriminanti di questa collaborazione dovrebbe essere in ogni caso l’esclusione di qualsiasi alleanza con movimenti e forze politiche xenofobe, populiste e più o meno dichiaratamente razziste.
Corrado Oddi: Intanto è necessario partire da una valutazione dello scenario che si prospetta, dopo il risultato elettorale, rispetto alle politiche che metterà in campo la maggioranza di larghe intese che si profila anche in Europa. Qui da noi si favoleggia, anche per magnificare le presunte future iniziative del semestre di presidenza italiano dell’Ue, che saremo in presenza di una svolta significativa delle politiche europee, capace di mettere tra parentesi la linea del rigore e dell’austerità.
C’è addirittura chi si avventura nel predire un’Europa che farà scelte di stampo keynesiano. Ora, è vero che, probabilmente, ci sarà un allentamento della linea più rigorista, come per esempio, fanno intravedere le scelte di politica monetaria della Bce di questi ultimi giorni, ma dubito fortemente che ciò significhi una reale inversione di tendenza rispetto al paradigma neoliberista che l’Ue a trazione tedesca ha adottato negli ultimi anni.
È a partire da qui che si aprono spazi significativi di iniziativa politica e mobilitazione sociale su cui si potranno costruire convergenze tra il gruppo della Ssinistra europea e quello dei Verdi: penso, ad esempio, al contrasto del trattato in corso di negoziazione tra Usa e Ue sul libero scambio oppure al fatto di lavorare per affermare la difesa dei beni comuni, a partire dall’Iniziativa dei Cittadini Europei presentata nei mesi scorsi a favore dell’acqua pubblica, che ha raccolto 1.800.000 firme in tutt’Europa.
O, ancora, al fatto di sostenere un Piano straordinario di investimenti pubblici in Europa che possa far da supporto alla creazione di nuova e buona occupazione.
Cogliati Dezza: Vedo la grande frammentazione nella sinistra europea, ma non mi sembra che i verdi europei si trovino nella stessa situazione. Non so se ci potrà essere convergenza, so quali dovrebbero essere le priorità, lo abbiamo scritto nell’appello da far sottoscrivere ai candidati italiani.
Sicuramente c’è la necessità di far riprendere all’Europa il ruolo di leadership mondiale su due terreni. Da un lato una politica lungimirante, che anche grazie alla capacità di ricerca, innovazione e miglioramento della capacità competitiva del vecchio continente, costringa gli altri grandi paesi del mondo a sottoscrivere un accordo per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Qui si annidano gran parte delle opportunità di una nuova politica industriale che faccia uscire l’Europa dalla crisi.
Dall’altro l’avvio di una sostanziale e reale democratizzazione delle strutture europee, perché la costruzione di una federazione effettiva va di pari passo con la democratizzazione e la costruzione di sistemi di partecipazione dei cittadini.
Ma questo significherà per le attuali forse politiche di sinistra (molto meno per i verdi che forse sono oggi la forza politica europea più avanti in questa direzione) una profonda revisione del proprio approccio all’Europa, vista finora solo come la causa dei mali del liberismo imperante.
Giulio Marcon: È vero che in questo campo di forze «rosso-verde» c’è disparità di vedute e ci sono anche forze ancora attratte da un antieuropeismo di maniera ed ideologico.
Ma ci sono almeno quattro obiettivi che potrebbero unire queste forze: la democratizzazione delle istituzioni europee, la fine delle politiche dell’austerità, il controllo e la regolamentazione dei mercati finanziari, un programma economico e sociale fondato sulla riconversione ecologica, un piano del lavoro, il disarmo e l’investimento nella scuola e nella ricerca.
In Italia, il 25 maggio le forze politiche che fanno riferimento a quell’area hanno ottenuto appena un terzo del peso che hanno nell’insieme dell’Europa. Vi interessa la costruzione di uno spazio politico di quel tipo in Italia? E a partire da quale rappresentanza sociale?
Grazia Naletto: La crisi e i processi di frammentazione che hanno investito sia il mondo dei verdi che l’area della sinistra hanno creato un vuoto di rappresentanza.
L’autonomia di iniziativa dei movimenti sociali è essenziale e va preservata, ma la mancanza di interlocutori politici di riferimento ostacola la possibilità di superare la dimensione dell’indignazione e della protesta per passare a quella della contaminazione delle decisioni che condizionano la vita di tutti noi. L’esito del voto può essere da questo punto di vista interessante se visto in prospettiva.
A condizione che i vizi che hanno attraversato la politica italiana dell’ultimo trentennio, anche quella rosso-verde, vengano cancellati. Tra questi la mancanza di radicamento sociale e la rinuncia a scegliere esplicitamente come blocco sociale di riferimento le classi sociali più deboli; i personalismi eccessivi e il cedimento al culto del leader; la resistenza a rinnovare le proprie classi dirigenti, i linguaggi, i metodi, le forme e le sedi della politica; l’uso spesso strumentale dei rapporti con la società civile organizzata e con i movimenti.
Corrado Oddi: La situazione della sinistra italiana e anche delle forze che si richiamano all’ambientalismo è decisamente peggiore rispetto alla situazione europea. Le ragioni sono molteplici e la loro analisi ci porterebbe lontano. Qui mi limito a dire che l’esperienza della lista Tsipras, se riuscirà a superare le gravi difficoltà in cui è incorsa subito all’indomani del risultato elettorale, potrebbe essere il campo in cui le culture del lavoro, dei beni comuni e dell’ambientalismo provano a costruire una sintesi efficace, guardando ad un insediamento sociale che mette insieme i settori più deboli della società, lavoratori dipendenti e parte del ceto medio che si è andato impoverendo, unificandoli in una prospettiva di reale alternativa alle ricette neoliberiste che continuano ad essere applicate anche dentro la crisi.
Giulio Marcon: In Italia la sinistra radicale — o la sinistra senza aggettivi — che non si accontenta di stare all’opposizione ma che vuole governare il cambiamento ha due strade davanti: farsi cooptare dal Pd abbracciando un liberismo «dal volto umano» oppure costruire uno spazio autonomo, non identitario, plurale capace di allargare il campo della sinistra: includendo campagne, associazioni, movimenti, soggetti della politica diffusa.
La lista Tsipras è stata un’esperienza importante — ha ridato entusiasmo e messo in campo energie nuove, raggiungendo l’obiettivo del 4%- mentre la Spinelli e l’esperienza dei garanti — e non penso certo a valutazioni di carattere personale — sono un fallimento. Com’è un limite il mancato coinvolgimento dei movimenti e della cultura politica ambientalista. Da dove ripartire? Da Tsipras? Non so, vedremo. Sicuramente quella lista — e quel che rimane del gruppo dei garanti — dovrebbe allargarsi nel coordinamento e nella gestione di questa fase a quei giovani che hanno ottenuto un risultato straordinario come Marco Furfaro, Claudio Riccio e Gano Cataldo o a donne come Giuliana Sgrena e Raffaella Bolini, giusto per citare alcune delle figure più significative.
Certo il «seme» (quello che ha significato così tanto per tante migliaia di attivisti) di Tsipras non va fatto appassire e comunque –Tsipras o non Tsipras — il problema del superamento della autosufficienza sostanzialmente residuale dei soggetti esistenti e della costruzione di una prospettiva plurale a sinistra dal Pd è all’ordine del giorno. A meno che di non rassegnarsi ad un logoramento progressivo e alla subalternità a Renzi o a Grillo.
Cogliati Dezza: Questo spazio si è cercato di costruirlo negli ultimi 15 anni. Oggi prendiamo atto che il matrimonio è fallito, è fallito soprattutto il tentativo di entrismo degli ambientalisti nei partiti, da Sel al Pd; la sinistra non è stata contaminata dal pensiero ambientalista, in tanti continuano a pensare, anche a sinistra, che le questioni ambientali «sì certo sono importanti…., ma le emergenze sono altre» l’ambiente è sempre una questione del secondo tempo!
D’altra parte la rappresentanza autonoma ambientalista non mi sembra goda buona salute. Se si pensa di mettere insieme due debolezze, non si va da nessuna parte. Occorrerebbe un’idea nuova, ma non la vedo.
Dal vostro punto di osservazione, che cosa sta succedendo nella società italiana e nelle sue forme di organizzazione, dal sindacato ai movimenti? Che rapporto c’è con la politica? E che rapporto potrebbe esserci con un’area politica rosso-verde?
Cogliati Dezza: Nella società registriamo una forte attenzione per le questioni ambientali: 1,6 mln di interventi con la detrazione fiscale del 65%, le reti di acquisto biologico e solidale, l’esplosione del movimento dei ciclisti, le centinaia di migliaia di piccoli impianti di fotovoltaico, le imprese che investono in green economy, l’agricoltura di qualità, enti locali che ci provano, e si potrebbe continuare.
La società c’è, la politica no. Tutto ciò non ha rappresentanza, le stesse associazioni ambientaliste storiche intercettano questa disponibilità in misura minima. La politica non dà risposte, anche a sinistra. Ad oggi non credo che sarebbe una buona cosa rilanciare un’area politica rosso-verde: quando lo si è fatto (fino all’altro ieri) i verdi sono rimasti culturalmente succubi delle categorie della sinistra del 900 e hanno finito per trasformarsi in sindacalisti dell’ambiente (cosa che non basta per costruire una politica che risponda ai bisogni della gente).
Il problema è quali sono le idee chiave intorno a cui, coniugando visione strategica con praticabilità immediata delle proposte, si costruisce una visione per il paese e, come diceva Alex Langer, come si fa a rendere questa visione e queste proposte desiderabili (e quindi credibili) per la gente.
Corrado Oddi: Qui il ragionamento sarebbe molto lungo: ma, per stare al nocciolo della questione, basta dire che, da una parte, c’è fortunatamente una cultura radicata di autonomia dei movimenti sociali, dall’esperienza sindacale a quella che negli ultimi anni si è costruita attorno al tema dei beni comuni, a partire dall’acqua.
Dall’altra, però, anche con il venir meno di una reale e significativa rappresentanza politica della sinistra, la stessa iniziativa dei soggetti collettivi che stanno nella rappresentanza sociale si è indebolita. Anche da questo punto di vista, torna ad essere attuale il tema della costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra nel nostro paese.
A patto che questo tema venga sul serio affrontato in termini innovativi e non replicando strade che già in passato hanno fallito. Per questo serve anche una nuova cultura politica, che ha a che fare con una sensibilità “rossa e verde”, che sappia vedere, come in questo nuovo secolo, i movimenti sociali esprimono di per sé un grado forte di politicità e che, dunque, pongono alla politica anche il tema di un rinnovamento delle sue forme.
Grazia Naletto: Il quadro politico italiano uscito dal voto presenta tre forti rischi: il primo è quello della rinuncia da parte della società civile organizzata, o almeno delle sue componenti più strutturate, a svolgere il suo ruolo di opposizione sociale, magari con la speranza di poter trarre vantaggio da un rapporto privilegiato con il potere. Il dibattito che si sta svolgendo sul progetto di riforma del terzo settore annunciato dal Governo, ne è primo un sintomo.
Il secondo rischio è che vada avanti un processo di delegittimazione dei movimenti sociali: gli sgomberi delle occupazioni avvenute in questi mesi, i pestaggi effettuati nel corso delle ultime manifestazioni e la norma del decreto Lupi che impedisce l’elezione di residenza e l’allacciamento delle utenze in stabili occupati, sono da questo punto di vista esemplari.
Il terzo rischio è quello della frammentazione e della chiusura identitaria.
Per questo il rafforzamento di un’area politica di sinistra e ambientalista sarebbe necessario. E sarebbe auspicabile che il milione e più di elettori che ha votato la lista Tsipras e Green Italia non venisse deluso.
Giulio Marcon: Il renzismo (come il berlusconismo) sta influenzando, malamente, anche la società. Per Renzi i corpi intermedi non esistono, il sindacato non conta, la rappresentanza sociale è un impiccio. È una declinazione venata di sinistra di una ideologia di destra, di una visione weberiana, mediatica e burocratica della politica come «decisione», «velocità», «annuncio». E questo sta avendo un riverbero, negativo, anche nel modo di organizzarsi delle forze sociali e – appunto — dei corpi intermedi: penso alla deriva corporativa e autoreferenziale delle organizzazioni di categoria, di una parte del mondo sindacale e del terzo settore.
Ci sono però movimenti, campagne e associazioni ancora vitali, ma se un «campo politico rosso-verde» vuole nascere e ampliarsi deve costruire con questi soggetti un rapporto di pari dignità e uscire dal tatticismo e dal politicismo esasperato, superando la vecchia «autonomia del politico». La sinistra o è sociale o non è. Vale anche per il campo rosso-verde.
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