Se i grillini sposano la destra xenofoba

by redazione | 13 Giugno 2014 13:03

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TRASCINARE a destra il Movimento 5 Stelle è l’azzardo politico con cui Grillo e Casaleggio confidano di poter sopravvivere al doppiaggio subito dal Partito Democratico lo scorso 25 maggio. Occupare lo spazio lasciato libero dalla crisi del berlusconismo, monopolizzare la protesta euroscettica rintuzzando la risorgente concorrenza leghista.
SONO calcoli domestici di questa natura a spiegare una scelta che i due padripadroni hanno perseguito fino in fondo, a costo di provocare lacerazioni in un elettorato per sua natura trasversale.
Il comico italiano che si affianca all’istrione britannico, lo ha fatto cercando accuratamente lo scandalo, il colpo di scena. La propaganda di Nigel Farage contro gli immigrati e i musulmani, le sue uscite volgari contro i gay e contro la parità femminile, vengono minimizzate da Grillo quando sul blog deve rintuzzare le cri-
tiche. Ma in realtà egli spera di giovarsene. Spera che Grillo-Farage divenga l’accoppiata grottesca ma devastante sul palcoscenico della crisi dell’Unione Europea. Tutto fa brodo, dopo l’emorragia di quasi tre milioni di voti e la conseguente ingestione di Maalox, per rinnovare su scala continentale la scommessa antisistema fallita in Italia. La parola magica è: euroscetticismo. Per questo dal referendum pilotato ieri sul blog sono stati anticipatamente esclusi i Verdi come possibile approdo grillino. Il partito ambientalista ha per sua natura una fisionomia cosmopolita, europeista, sovranazionale, che lo rendeva inadatto a catalizzare la spinta reazionaria dei noeuro e dell’egoismo delle piccole patrie. Una cultura green che Grillo rinnega, dopo che per anni l’aveva valorizzata nei suoi spettacoli, perché trova più redditizio l’abbinamento col nuclearista britannico.
Quella operata ieri, ma preparata fin dal giorno successivo a un risultato elettorale che fa del M5S la principale forza d’opposizione, è una scelta di campo precisa e senza ritorno. Se il Pd di Matteo Renzi occupa saldamente lo spazio riformista dell’innovazione politica, è da destra che Grillo ritiene di controbatterlo. Optando con il reazionario Farage per l’ideologia dei popoli ribelli all’Unione, non da riformare ma da mandare a gambe per aria. Un’alleanza spaccatutto, nelle intenzioni di chi la battezza sperando che l’architettura dell’Ue non regga questo passaggio difficile.
Il referendum online è stato una caricatura imbarazzante della cosiddetta democrazia della rete. Basta leggere le argomentazioni con cui si valorizzava l’alleanza con l’Ukip di Farage, rispetto all’unica altra ipotesi di alleanza ritenuta ammissibile: quella strampalata con i conservatori inglesi di Cameron. Certo, una volta esclusa a priori l’alleanza coi Verdi, la terza opzione appariva come la più ragionevole: non iscriversi a nessun raggruppamento, mantenere la propria indipendenza. Nessuno infatti obbligava i grillini a apparentarsi nel Parlamento europeo. L’argomento secondo cui ciò li avrebbe condannati all’irrilevanza non risulta coerente per un movimento che ostenta disinteresse alle poltrone e che, nel parlamento italiano, pretendeva addirittura di sedersi in tutta la parte alta dell’emiciclo pur di non schierarsi fra destra e sinistra.
Stavolta il M5S si è schierato, eccome. A destra, al fianco di una destra che non si vergogna certo di definirsi tale. Grillo e Casaleggio lo hanno fatto orientando sul voto per l’Efd 23 mila sostenitori su 29 mila partecipanti al referendum. Ricordiamocelo, quando da quelle parti si lanciano proclami democratici, magari rivolti a un partito come il Pd che bene o male coinvolge nelle sue scelte fondamentali di leadership tre milioni di cittadini. 23 mila grillini, con tutto il rispetto, hanno “deciso” ieri la collocazione a destra di un movimento votato da circa sei milioni di cittadini. Ma in realtà lo hanno deciso in due.

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