Save the children: “Il 66% dei minori in carcere lavorava prima dei 16 anni”
ROMA – Il 66 per cento dei minori che al momento sta scontando una condanna penale ha svolto un’attività lavorative prima dei 16 anni. Nel 73 per cento dei casi sono giovani italiani mentre il 27 per cento è costituito per lo più da ragazzi di origine straniera (in genere della Romania, Albania, Africa del nord). Più del 60 per cento ha lavorato tra i 14 e i 15 anni. Lo dice l’ultimo rapporto di Save the children “Lavori ingiusti”, presentato oggi a Roma alla presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando.
L’indagine sul lavoro minorile e il circuito della giustizia penale, realizzata in collaborazione e con il finanziamento del ministero (attraverso 733 interviste e 5 focus group) rivela inoltre che il 40 per cento dei ragazzi ha avuto esperienze lavorative al di sotto dei 13 anni e circa l’11 per cento ha svolto delle attività persino prima degli 11 anni. Nel 66 per cento dei casi i minori hanno lavorato da giovanissimi per fare fronte alle proprie spese personali, tuttavia più del 40 per cento ha affermato di avere lavorato anche per aiutare la propria famiglia. Il 60 per cento lo ha fatto per altre persone mentre solo il 21 per cento per i propri genitori e il 18 per cento per dei familiari.
Forte è il rischio di sfruttamento. “Prestare il proprio lavoro fuori della cerchia familiare differenzia questi ragazzi e ragazze rispetto al più ampio universo dei minori lavoratori – spiega Save the children – e rappresenta un rilevante fattore di rischio”. La ristorazione (21 per cento) con attività svolta in bar, ristoranti, alberghi, pasticcerie, panifici; la vendita ( 17 per cento) nei negozi o i mercati generali; il lavoro in cantiere (11 per cento) e il lavoro in campagna (10 per cento) sono le principali attività lavorative svolte dai ragazzi intervistati. Seguono, poi, tutti i lavori presso le officine meccaniche e i distributori di benzina (9 per cento), le attività artigianali (5 per cento), il lavoro in fabbrica (3 per cento), le consegne a domicilio (2 per cento) e solo una percentuale residuale svolge le proprie attività lavorative in casa per aiutare la famiglia nel proprio lavoro o nella cura di fratelli più piccoli o parenti in difficoltà.
Il 71 per cento dei ragazzi dichiara di aver lavorato quasi tutti i giorni – dunque in modo continuativo e il 43 per cento per più di 7 ore di seguito al giorno; il 52 per cento ha lavorato di sera o di notte. “Si tratta di un dato molto grave e allarmante che mette in luce il circolo vizioso che parte dall’abbandono scolastico, passa per lo sfruttamento lavorativo fino a ad arrivare al coinvolgimento nelle reti della criminalità”, spiega Raffaela Milano direttore Programmi Italia-Europa Save the Children Italia.
La maggior parte dei minori intervistati afferma di avere iniziato le proprie azioni illecite tra i 12 e i 15 anni, parallelamente all’acutizzarsi di problemi a scuola, culminati spesso in bocciature e abbandoni. Per quanto riguarda i reati commessi, si tratta per lo più di reati contro il patrimonio (54,5 per cento, per esempio furto e rapina), seguono quelli contro la persona (12,7 per cento), contro l’incolumità (9 per cento) e le istituzioni (6per cento). “Sarebbe arbitrario stabilire un nesso automatico fra lavoro precoce e comportamenti devianti tuttavia sono gli stessi ragazzi e gli operatori coinvolti nelle consultazioni e focus group a raccontare come ci si possa ritrovare sommersi dalla situazione”, spiega ancora Milano. “Si comincia con le difficoltà a scuola e la frequenza discontinua che, a sua volta, genera scarsi risultati e la spinta ad abbandonare lo studio e iniziare a lavorare. Un lavoro che però il più delle volte si rivela illegale, saltuario, sottopagato, non qualificante e, nelle forme peggiori, duro fino alla violenza e allo sfruttamento. Un’esperienza da cui i ragazzi potrebbero decidere di liberarsi scegliendo la strada dell’illegalità e delle attività illecite”.
Per contro un lavoro rispettoso e stabile potrebbe contribuire al percorso di reinserimento sociale e a evitare forme di recidiva di un giovane che abbia commesso reati: la pensa così, l’89 per cento degli intervistati da Save the Children. Come riferiscono soprattutto gli operatori, lo strumento “lavoro” se utilizzato all’interno del progetto educativo elaborato per il minore del circuito penale, può essere una possibilità virtuosa per favorire lo sviluppo della personalità del minore, i processi di responsabilizzazione, le sue capacità relazionali. “Perché ciò avvenga occorre promuovere e garantire le risorse necessarie per attivare in modo sistematico e continuativo le opportunità formative e di inserimento lavorativo per tutti i minori che sono all’interno del circuito penale” , spiega ancora il direttore dei Programmi Italia Europa di Save the Children Italia.
Dal punto di vista della prevenzione, secondo Save the Children “appare fondamentale il ruolo della scuola che – dalla lettura delle esperienze dei ragazzi del circuito penale – in molti casi non ha rappresentato un fattore di protezione ma è più spesso percepita come un percorso ad ostacoli, e non come un’opportunità – è necessario quindi rafforzare gli interventi di contrasto alla dispersione scolastica, così come prevedere interventi di sostegno formativo per i ragazzi che hanno prematuramente abbandonato gli studi”.
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