Renzi parla di vittoria Ma avverte il partito: posizioni di rendita finite

by redazione | 10 Giugno 2014 8:55

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SHANGHAI — È soddisfatto per un risultato che ritiene «straordinario», visto che il Pd aumenta il bottino ed espugna un numero di Comuni superiore a quelli che governava, visto che con Grillo «è finita 20 a 1, altro che frenata», ma allo stesso tempo Matteo Renzi ammette apertamente che la perdita di Livorno, tradizionale roccaforte rossa, le sconfitte di Perugia o Potenza, hanno un valore che è da registrare, da non sottovalutare: significano che i cittadini ormai votano in base ai risultati, alle esperienze concrete di governo, alla capacità di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale.
A margine dei colloqui con le istituzioni del Vietnam, nel suo primo giorno di visita in Asia, il presidente del Consiglio trova il tempo di fare un’analisi informale del voto amministrativo. Analisi sganciata dalla sua partecipazione, minima, agli ultimi giorni di campagna elettorale, piuttosto ancorata al significato di un voto amministrativo che per lui significa una cosa sola: «Sono finite le posizioni di rendita, non ci sono più roccaforti», ovvero non ci sono più posizioni che possono essere tramandate da un candidato a un altro.
Il voto amministrativo non è quello Politico, contano le persone prima che i partiti, quello che hanno realmente realizzato. «Il grado di aderenza alla realtà della buona amministrazione è sempre più alto», come è giusto che sia, lascia intendere Renzi, nei saloni dello storico albergo della capitale vietnamita, quel Sofitel Legend che è un landmark del Paese che fa concorrenza alla Cina per capacità di attrarre imprese europee manifatturiere e che con Pechino vive da alcuni mesi una progressiva crisi diplomatica.
Renzi vorrebbe minimizzare, lasciare ad altri l’analisi del voto, il ballottaggio, ai suoi occhi, mentre si appresta ad incontrare lo stato maggiore della nomenklatura cinese (oggi sarà a Shanghai, domani a Pechino), è comunque un segno minoritario di un trend che si è già espresso alle Europee. Lui, in quella occasione, ci ha messo la faccia, ha rilanciato l’idea di un Paese che può voltare pagina e fare riforme mai fatte prima. È stato premiato, con un record di consensi, al di sopra di ogni aspettativa. Se nel secondo turno delle Amministrative ci sono anche risultati in chiaroscuro, compresa la perdita di Livorno, poco male: siamo in piani completamente diversi, fa intendere.
Alle elezioni europee, come avverrà alle Politiche, conta una certa idea del Paese, nella città vale ben altro, le capacità dei sindaci, delle singole persone, dei singoli candidati e in questo quadro poco male se ci sono da commentare anche risultati negativi. Livorno è il primo e bisogna solo essere sinceri: il candidato del movimento di Beppe Grillo, «è stato bravo, ha fatto bene», ha in sostanza convinto più del candidato del Partito democratico. Eppure è inutile fasciarsi la testa, «Grillo ha vinto uno solo dei ballottaggi in cui era in corsa», dunque poco male, il risultato del Pd è comunque lusinghiero.
Ci sarebbe da aggiungere che lui, a differenza del voto europeo, non vi ha messo la faccia, è rimasto un passo indietro: si è goduto quel record del 40,8% dei voti che non sarà una rendita ma su cui è possibile mettere una «residenza», secondo l’espressione che ha coniato, appena chiuse le urne del voto per il Parlamento di Bruxelles.
Di sicuro una cosa non vuole sentire e non condivide. L’idea che ci sia un vecchio Pd che perde e uno nuovo che vince, che la responsabilità di alcune defaillances sia da attribuire a una classe dirigente che non è renziana; un’interpretazione, autorizzata da alcuni dei suoi, che lo trova freddo quanto contrario: «Il Pd è uno solo e lottiamo tutti per lo stesso risultato, non ci sono mondi vecchi e nuovi, ci sono solo candidati più o meno bravi». Una visione laica che lo autorizza a dire a concludere in modo pratico, così: «Ci siamo presi il Piemonte e la Lombardia, e Forza Italia ha fatto la fine che ha fatto».
Marco Galluzzo

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