Quell’uomo a terra legato mani e piedi shock per la foto nel commissariato
MILANO . È quasi notte nel commissariato di via Romagna a Monza, siamo alla fine di maggio. Un uomo è disteso per terra a pancia in giù, indossa solo una maglietta e dei calzoncini, le infradito sono abbandonate a poca distanza. Ha le mani bloccate dietro alla schiena, serrate dalle manette. Un agente in divisa, seduto accanto a lui, sembra controllare che non si muova mentre un altro, anche lui in divisa, gli sta legando le caviglie con una cinghia. Un commissariato, due agenti, un uomo a terra bloccato in un modo che — spiegano altri poliziotti — non ha nulla a che fare con le normali procedure di intervento, anche in situazioni di emergenza.
Una storia cristallizzata in una fotografia, scattata quasi certamente da un terzo agente che ha deciso di far arrivare lo scatto sul tavolo del Questore di Milano Luigi Savina (il commissariato di Monza dipende da via Fatebenefratelli) che, a sua volta, ha consegnato un rapporto al procuratore capo di Monza Corrado Carnevali. «Siamo sereni, abbiamo riportato nella relazione soltanto l’operato del nostro personale, ci rimettiamo alle decisioni dell’autorità giudiziaria», spiega Savina. Nessuna indagine interna sui poliziotti, due trentenni in servizio da circa cinque anni: «Nel momento in cui c’è una indagine penale — aggiunge il questore — non possiamo avviare ispezioni».
Il fermato è un cittadino marocchino che, quella sera di fine maggio, avrebbe partecipato a una rissa in un parco di Monza. «In evidente stato di ebbrezza», usando le formule di rito, era stato portato in commissariato. Lì, dopo alcune ore, avrebbe dato in escandescenze, provocando quella reazione da parte dei due agenti ripresi nella foto: bloccato a terra — si intravede la mano di uno dei due agenti che lo tiene fermo — ammanettato e legato per i piedi fino — sembra — all’intervento del 118. Processato nei giorni successivi, è stato condannato a otto mesi per violenza e resistenza a pubblico ufficiale.
Fin qui la cronaca. Ma dopo i casi di Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, e al di là delle verità giudiziarie accertate e da accertare, è proprio tra i poliziotti che ci sono le reazioni più accese. Che non giustificano l’operato dei singoli — e, anzi, sottolineano come andrebbe riformata la selezione degli agenti — ma sollevano problemi collettivi. Mauro Guaetta, segretario generale del Siulp di Milano: «Bisogna vedere come si sono svolti i fatti, ma se un fermato è stato legato in quel modo vuol dire che è stata usata una procedura del tutto illegittima». Ricorda, Guetta, che proprio in quella caserma, nel 2007, si verificò un episodio simile, con una foto che ritraeva un uomo ammanettato a un palo (l’attuale dirigente Francesco Scalise è arrivato dopo di allora): «Per anni abbiamo chiesto che fossero rese agibili le camere per i fermati, proprio per evitare di dover gestire situazioni difficili in corridoio. Solo negli ultimi giorni, stranamente, sono ripresi i lavori. È un problema per i fermati e per noi: le condizioni in cui dobbiamo lavorare, anche a Milano, sono ai limiti della decenza ». Netto Gabriele Ghezzi, consigliere comunale del Pd: «L’infedeltà ai valori ai quali si giura di attenersi al momento dell’ingresso in polizia mi fa rabbrividire. Ma, oltre alle responsabilità soggettive, ci sono anche quelle di chi gestisce l’apparato della sicurezza in Italia, una classe dirigente inadeguata e incapace di prevenire questi fenomeni».
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