Prove di Califfato l’avanzata jihadista dissolve le frontiere

by redazione | 23 Giugno 2014 11:28

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BAGDAD — In Medio Oriente sta nascendo una nuova entità politica che aspira a farsi Stato. Non piace quasi a nessuno, ma era nell’aria già da molto tempo, almeno due anni, e nel concreto si è fatto poco per fermarla. I suoi territori stravolgono i confini «tracciati nella sabbia» da Francia e Inghilterra dopo le intese segrete del 1916 (i cosiddetti accordi Sykes-Picot). L’Iraq è ora diviso in tre parti: sciita nel sud, sunnita nel centro-ovest e curda a nord. Un paradosso della storia, mentre commemoriamo il centenario della Prima guerra mondiale vengono stravolti assetti geopolitici frutto diretto di quel conflitto.
Il nuovo califfato
La nuova entità ha confini ancora imprecisi, compresi tra Aleppo, Homs e Hama in Siria, sino a nord di Bagdad in Iraq. È guidata da una meteora confusa di movimenti, ideologie e gruppi. Ma, a causa dal caos traumatico del suo stato nascente, al momento prevalgono le componenti più estremiste. Alla sua origine stanno le avanguardie sunnite della guerriglia cresciuta sempre più virulenta dal 2011 in Siria, ma forgiata da almeno un decennio di combattimenti in Iraq seguiti all’invasione anglo-americana del 2003. Vi si trovano elementi qaedisti, ex baathisti figli al vecchio regime di Saddam Hussein incattiviti con l’Occidente, oltre a gruppi di volontari jihadisti immigrati da Europa, Stati Uniti, Cecenia, Algeria, Palestina, Libia, Egitto, Tunisia…
Si valuta che a dominare la sua forza bellica (sino a 40.000 uomini, il loro numero è in costante crescita) siano i combattenti dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante», un gruppo di 10.000 volontari che non nasconde il desiderio di imporre l’utopia wahabita. Il loro sogno guarda infatti al ritorno dell’età dell’oro del sunnismo: i primi califfi seguiti alla morte del Profeta e scelti tra i giusti nella comunità dei fedeli. Esaltano il Califfato dunque, lo reputano un modello di perfezione, semplicità, giustizia e purezza islamica. E rispolverano le antiche diatribe teologiche con gli sciiti, i quali sostengono invece che il successore di Maometto vada scelto tra i suoi discendenti di sangue.
Vittorie militari
Nelle ultime due settimane le colonne sunnite hanno completamente sbaragliato l’esercito del primo ministro sciita iracheno Nouri al Maliki. Dal confine meridionale e orientale della Siria sono scesi nel cuore del sunnismo iracheno nella provincia di Al Anbar lungo l’Eufrate, quindi sono saliti verso le regioni autonome curde nel nord per occupare Mosul, infine sono ridiscesi paralleli al Tigri, hanno preso Tikrit, tengono il controllo quasi totale di Baiji e stanno mirando a Bagdad. Da venerdì hanno scelto di consolidarsi nelle province occidentali. Hanno fatto irruzione nella cittadina di Qaim aprendo del tutto il passaggio con la Siria. Poi sono corsi a folle velocità verso il confine giordano ad espugnare il nucleo urbano di Rutba, per infine prendere Rawa e Ana più a sud. Occorre però ricordare che queste avanzate non sono un fulmine a ciel sereno. Già un anno fa le milizie sunnite erano riuscite a scacciare i militari iracheni da Ramadi e Falluja. Nel novembre scorso si erano attestate ad Abu Ghraib, luogo del famoso carcere, posto a 20 chilometri da Bagdad. La capitale vede con preoccupazione l’accerchiamento, che ora arriva anche dalle zone sunnite nelle sue periferie meridionali. I militari americani stimano che l’esercito iracheno non sia affatto in grado di riconquistare il territorio perduto. Manca di aviazione, non ha più missili, è demoralizzato. Ed è anche per questo motivo che i sunniti hanno spostato in Siria una larga parte del materiale bellico catturato in Iraq. Lo utilizzeranno per cercare di bloccare l’esercito di Bashar Assad, che invece si è dimostrato molto più efficiente.
Le donne e la legge dei wahabiti
Le cronache contraddittorie che giungono dalle zone occupate dagli estremisti sunniti danno comunque un quadro preoccupante. Dopo i video diffusi sulla rete delle esecuzioni di massa dei prigionieri sciiti, ora arrivano quelli di decapitazioni in puro stile afghano. Pare vi siano anche stati casi di attacchi contro le donne che non accettano di indossare il velo. Il britannico Independent riporta che a Beiji alcuni jihadisti sarebbero andati casa per casa a cercare «mogli per alleviare i loro impulsi sessuali». A Mosul sarebbe comparsa la formula del «Jihad Niqab», che invita le ragazze a «donare il loro corpo» ai guerriglieri della guerra santa. Non è chiaro se si tratti di casi isolati o di una politica sistematica. È da pensare però che queste pratiche siano destinate a fomentare forte ostilità tra i capi tribali sunniti e i baathisti. Tanto da far credere che l’unità apparente del fronte sunnita sia invece fortemente minata da forti contraddizioni interne, destinate presto ad esplodere.
Lorenzo Cremonesi

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