Processo alla Troika
Circa 10 anni fa, nell’aprile del 2004, si tenne a Bruxelles la sessione di un tribunale d’opinione sulla guerra in Iraq. Il corposo dossier che ne risultò sviscerava tutti gli aspetti del conflitto — l’ideologia neocon, l’attacco al diritto internazionale, i legami con l’industria delle armi e del petrolio, ecc. — concludendosi con un severo verdetto di colpevolezza per gli Usa e i loro alleati.
Nel 2014 l’agenda della crisi e dell’austerità è la vera priorità che ha sostituito la guerra nell’agenda dei movimenti di tutto il mondo; è quindi un vero segno dei tempi che si sia ripresa tale forma di atto politico simbolico — sperimentato col famoso Tribunale Russel sui crimini di guerra in Vietnam — con un obiettivo conforme all’attualità del nuovo decennio. A maggio scorso si è tenuta una serie di sessioni di un Tribunale che ha messo sotto processo la Troika e le politiche di austerità.
Undici «testimoni» provenienti da dieci paesi europei e cinque relatori su tematiche trasversali (debito, condizione femminile, diritti del lavoro, povertà e servizi pubblici) hanno dato un quadro drammatico della situazione; le conclusioni sono riassunte nel verdetto finale nel modo seguente: le ricadute della crisi, consistenti in impoverimento di milioni di persone, deprivazione sociale, e deterioramento della qualità della vita della maggioranza, sono state aggravate significativamente dalle politiche Ue; tali politiche non erano necessarie, ma sono state lo stesso portate avanti a favore dell’agenda neoliberale e di interessi forti consolidati; la concretizzazione di tali politiche ha una carenza di legittimità democratica; esse violano le obbligazioni dei diritti umani riconosciuti internazionalmente e della stessa Unione europea.
L’iniziativa, promossa da da Ceo (Corporate European Observatory, associazione specializzata nel mettere a nudo il potere delle lobby affaristiche sulle istituzioni europee) è stata partecipata da attivisti di associazioni e movimenti che agiscono su svariate tematiche di vari paesi. Tale affresco — di cui si può farsi un’idea leggendo le tracce delle relazioni sul sito di Ceo (http://?cor?po?ra?teeu?rope?.org) fornisce delle chiavi di lettura per capire l’Europa del 2014, che di lì a poco avrebbe mandato un plotone di euroscettici di varie sfumature politiche al Parlamento dell’Unione. Il collegamento più evidente è forse l’ascesa delle destre estreme in vari paesi — segnatamente Ungheria e Grecia.
Il quadro generale è, poco sorprendentemente, di una generale regressione economica dovuta all’austerità che ha approfondito la crisi — anziché risolverla. Sugli scenari specifici si scoprono invece alcuni punti singolari se non inediti. Non è proprio scontato che nella ricca e potente Germania — vista tanto con favore dai liberisti per la sua competitività nell’export che in ambienti di sinistra per il ruolo dei sindacati nella cogestione aziendale — il 20% della popolazione scivoli verso la povertà, secondo le statistiche citate da Georg Rammer di Attac. A chiare lettere si riconosce l’attacco ai salari tedeschi del passato decennio (le riforme dell’agenda 2010) come il presupposto della crisi europea, avendo spinto verso il basso anche le retribuzioni negli altri paesi.
La dinamica degli eventi non mostra solo l’offensiva neoliberale — che, va detto, procede spedita — ma anche le varie forme di resistenza nei vari paesi, e la costruzione di esperimenti di democrazia dal basso. Manifestazione anti-austerità si sono avute in paesi quali Spagna, Italia, Austria, Francia, Slovenia. L’Europa non è solo la burocrazia di Bruxelles.
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