Pravatà: “Soldi e consulenze così il sistema Mose comprava i politici”
VENEZIA . «Glielo dicevo a Giovanni che sarebbe finita male. Lui mi rispondeva che non capivo un tubo, che bisognava andare avanti a tutti i costi. Stava più a Roma che a Venezia e sotto di lui il Consorzio ha subito una mutazionei genetica. Eppure, gli voglio bene al presidente…». Nemmeno oggi Roberto Pravatà, l’uomo del memoriale secretato, riesce a parlare male della persona accanto al quale ha costruito 21 anni di carriera al Consorzio. Lui in qualità di vice direttore generale, Mazzacurati nei panni del dominus, del padrone assoluto. Del burattinaio. Pravatà, 60 anni, ora vive a Villorba, alle porte di Treviso, e con il Consorzio ha chiuso, suo malgrado, nel 2008. Poi ha aperto il computer, e ha cominciato a scrivere.
Cosa c’è in quel memoriale, Pravatà?
«Ho riportato fatti un po’ più easy, diciamo così, e altri che assumono un rilievo penale, ma devo mantenere il segreto istruttorio. È stato un ufficiale della Finanza a chiedermi di mettere tutto nero su bianco. Contiene circostanze che riguardano politici di livello nazionale, tra cui anche ex ministri».
Fatti di cui lei ha conoscenza diretta, oppure che le sono stati riportati?
«I contatti con la politica li teneva Mazzacurati. Poi però riferiva le richieste a me, che ero il capo delle finanze del Consorzio. Occupavo un ruolo per cui non potevo non sapere certe cose».
Come nel caso del “piacere” chiestovi da Gianni Letta per far lavorare l’azienda di Lunardi, la Rocksoil?
«Esatto. Fu Mazzacurati, dopo la richiesta di Letta, a decidere di provvedere dividendo l’onere tra la Fincosit e Condotte, due consorziate. Le due società presentarono riserve fasulle all’ingegner Neri. Il Consorzio approvò tutto e le pagò al 50 per cento, come ho spiegato ai pm. In questo modo, riversarono 3-4 milioni di euro a società di Lunardi».
Davanti ai magistrati, lei ha raccontato anche di un contributo di 150.000 euro per le spese elettorali di Enrico Letta nel 2007, fatti passare come incarico fittizio per un’attività dell’arsenale di Venezia. Questa storia ha fatto molto rumore. Vuole spiegare meglio?
«Tutto è nato da una verifica della Finanza alla fondazione Ve-Drò di Letta. Vennero da me chiedendomi se fossi a conoscenza di qualche altro contributo del Consorzio dato all’ex premier, e io mi sono ricordato di quell’episodio. È stato ritenuto non penalmente rilevante e sono passati molti anni, ormai. Di tutto quello che accadde dopo il 2008 non so niente ».
Perché la scelta di lasciare?
«Me ne sono andato quando il “sistema” era appena all’inizio. Dal 2007 in poi Mazzacurati usò metodi per acquisire il consenso che non mi piacevano, più volte mi sono trovato a dirgli “queste carte non te le firmerò mai…”».
Quale fu la goccia che fece traboccare il vaso?
«Volle farmi assumere la figlia di Cuccioletta, il Magistrato alle acque. Brava ragazza, per carità, si era appena laureata. Ma c’era un problema di opportunità, il Magistrato era il nostro controllore… Poi ha preteso che mi dimettessi dalla vice presidenza di Thetis (società di ingegneria, acquisita dal Consorzio, ndr), perché doveva mettere uno dei suoi. A quel punto dissi basta».
L’80 per cento degli atti redatti dal Magistrato alle acque erano prodotti dal personale del Consorzio. Sono parole sue, a verbale. Ha anche le prove?
«Gli investigatori hanno trovato i documenti nei nostri server. Nella sede centrale però io stavo al piano “nobile”, dove c’era
anche lo studio di Mazzacurati… di queste cose se ne occupavano ai piani inferiori, in particolare l’ingegner Brotto».
Quante campagne politiche avete finanziato?
«Finché c’ero io, neanche una. Era una precisa disposizione dei presidenti precedenti, da Luigi Zanda a Franco Carraro e Paolo Savona. Poi i consiglieri nominano Mazzacurati. Siamo nel 2005 e da quel momento il Consorzio subisce una mutazione genetica, diventa spregiudicato. Quando trovai strane fatture provenienti da San Marino, mi resi conto che si era passato il limite».
E così il Consorzio assume le forme di un “governo ombra” di Venezia. Tutti si rivolgono a lui, lui accontentava tutti.
«Mazzacurati, tecnico molto preparato, difficilmente diceva no. Puntava ad acquisire il consenso generalizzato, per sé e per il Mose. C’erano politici che avevano atteggiamenti più interlocutori, altri più di chiusura. L’ex sindaco Cacciari con noi aveva rapporti personali cordiali, ma politicamente era critico verso l’opera».
Vedeva mai politici entrare nel suo studio?
«No. L’unico era Giancarlo Galan, ma sempre per incontri istituzionali. Non ho mai firmato niente in suo favore».
Ma perché tutta quest’ansia di ottenere consenso? In fondo i soldi per il Mose li garantisce lo Stato, e l’opera è utile alla città…
«Il Consorzio è visto in modo molto ostile, forse perché non ha mai avuto un presidente veneziano. E c’è un problema strutturale che riguarda tutte le opere pluriennali dello Stato: le leggi finanziarie valgono per tre anni e sono troppo suscettibili di cambiamento. Accade solo in Italia».
L’ultima volta che ha sentito Mazzacurati?
«Quando è morto suo figlio, Carlo… se ci penso mi commuovo ».
Pravatà, lei però è finito in un processo per stalking, è stato denunciato dalla sua ex moglie. C’entra qualcosa questo con il suo passato nel Consorzio?
«Credo di sì. I guai con questa persona sono iniziati nel momento in cui ho cominciato a raccontare ai finanzieri cosa accadeva là dentro. Non ho le prove, ma faccio due più due…».
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