Poroshenko giura, 13 morti a Lugansk

by redazione | 9 Giugno 2014 7:58

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Poroshenko ha giu­rato come nuovo pre­si­dente dell’Ucraina, men­tre nelle regioni orien­tali pro­se­guono i com­bat­ti­menti e nel momento in cui arri­va­vano noti­zie di tre­dici morti, di cui dieci civili, a Lugansk, a seguito di nuovi attac­chi dell’esercito ucraino. Chi si aspet­tava un seguito alle parole cara­mel­lose e disten­sive del D-Day, sarà rima­sto deluso, per­ché l’intenzione di Poroshenko non sem­bra per niente diversa da quella del suo pre­de­ces­sore Tur­chy­nov. Quest’ultimo aveva più volte spe­ci­fi­cato che l’ultimo ed estremo rime­dio sarebbe stato solo l’annientamento dei «terroristi».

E l’atteggiamento del neo pre­si­dente non pare disco­starsi, poi­ché l’argomento «fede­ra­li­sta» non è stato in alcun modo affron­tato nel suo discorso, anzi l’oligarca ha par­lato di decen­tra­mento ma ha escluso una riforma verso il fede­ra­li­smo. Poroshenko a que­sto pro­po­sito, si è limi­tato a pro­nun­ciare parte del suo inter­vento in russo, per dimo­strare una sorta di buona volontà, salvo defi­nire «armati dai russi» tutti i ribelli che non accet­tano la svolta poli­tica effet­tuata a Kiev dopo la bat­ta­glia di Maj­dan. Poroshenko ha poi spe­ci­fi­cato di volere un nuovo trat­tato inter­na­zio­nale capace di garan­tire una difesa mili­tare inter­na­zio­nale, nel caso l’Ucraina sia minac­ciata da forze stra­niere. Ogni rife­ri­mento non è pura­mente casuale.

Ha poi pro­messo di fir­mare il 27 giu­gno l’accordo di asso­cia­zione con l’Unione euro­pea e ha ricor­dato di con­si­de­rare ucraina la Cri­mea, da poco annessa alla Fede­ra­zione russa. «La Cri­mea non tor­nerà mai a far parte dell’Ucraina»: gli ha rispo­sto imme­dia­ta­mente Vla­di­mir Kon­stan­ti­nov, capo del Con­si­glio di Stato della repub­blica auto­no­mi­sta, in un comu­ni­cato pub­bli­cato sul sito web del Par­la­mento della Peni­sola. «Poro­shenko può dire quello che vuole, le sue affer­ma­zioni sono prive di senso» ha concluso.

L’oligarca Poroshenko ha infine spe­ci­fi­cato di rea­liz­zare quanto pro­messo durante la sua cam­pa­gna elet­to­rale riguardo il cam­bia­mento per quanto riguarda cor­ru­zione e domi­nio degli oli­gar­chi. La prima prova della sua indi­pen­denza pre­si­den­ziale e deter­mi­na­zione — ha scritto la stampa russa — «è pro­ba­bile avrà a che fare con le pro­vince orien­tali del paese che hanno boi­cot­tato le ele­zioni e si difen­dono con­tro la repres­sione mili­tare di Kiev». Finora però Poroshenko non sem­bra inten­zio­nato a porre fine agli attac­chi aerei e ai bom­bar­da­menti con­tro le città ucraine delle regioni orien­tali. Un mas­sa­cro in corso, nel silen­zio più totale di isti­tu­zioni, leggi Ue, e media. Que­sto atteg­gia­mento– è lecito chie­dersi — dove por­terà? Al peg­gio, natu­ral­mente, con la pos­si­bi­lità che la parte orien­tale del paese diventi il ter­reno di con­flitto civile, coau­diu­vato da mer­ce­nari e «volon­tari» capaci di infil­trarsi in entrambe le parti in gioco e alzare — e non di poco — la dram­ma­ti­cità degli eventi.

«Fer­mare il mas­sa­cro» è la domanda prin­ci­pale che pro­viene dalla Rus­sia e da chi sta seguendo quanto accade nell’est ucraino. In tutta que­sta situa­zione non poteva man­care l’appoggio uffi­ciale di Ue e Nato. «Desi­dero riba­dire il con­ti­nuo appog­gio ed impe­gno dell’Unione Euro­pea nei con­fronti dell’Ucraina» ha dichia­rato il pre­si­dente del Con­si­glio Ue, Her­man Van Rom­puy, che ha preso parte alla ceri­mo­nia di inse­dia­mento a Kiev. Van Rom­puy — senza ricor­dare il con­flitto in corso e il fatto che la metà della popo­la­zione ucraina non ha votato) ha sot­to­li­neato come «la netta mag­gio­ranza garan­ti­ta­gli alle ele­zioni ha messo in luce il desi­de­rio del popolo ucraino di ripor­tare la sta­bi­lità nel paese».

«Gli alleati della Nato — ha spe­ci­fi­cato poi Rasmus­sen — restano impe­gnati a soste­nere la sovra­nità, l’indipendenza e l’integrità ter­ri­to­riale dell’Ucraina». Infine Putin: ieri è arri­vata l’ufficialità del raf­for­za­mento delle fron­tiere russe, dopo che i sol­dati ucraini hanno perso ben tre basi di frontiera.

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