Poroshenko giura, 13 morti a Lugansk
Poroshenko ha giurato come nuovo presidente dell’Ucraina, mentre nelle regioni orientali proseguono i combattimenti e nel momento in cui arrivavano notizie di tredici morti, di cui dieci civili, a Lugansk, a seguito di nuovi attacchi dell’esercito ucraino. Chi si aspettava un seguito alle parole caramellose e distensive del D-Day, sarà rimasto deluso, perché l’intenzione di Poroshenko non sembra per niente diversa da quella del suo predecessore Turchynov. Quest’ultimo aveva più volte specificato che l’ultimo ed estremo rimedio sarebbe stato solo l’annientamento dei «terroristi».
E l’atteggiamento del neo presidente non pare discostarsi, poiché l’argomento «federalista» non è stato in alcun modo affrontato nel suo discorso, anzi l’oligarca ha parlato di decentramento ma ha escluso una riforma verso il federalismo. Poroshenko a questo proposito, si è limitato a pronunciare parte del suo intervento in russo, per dimostrare una sorta di buona volontà, salvo definire «armati dai russi» tutti i ribelli che non accettano la svolta politica effettuata a Kiev dopo la battaglia di Majdan. Poroshenko ha poi specificato di volere un nuovo trattato internazionale capace di garantire una difesa militare internazionale, nel caso l’Ucraina sia minacciata da forze straniere. Ogni riferimento non è puramente casuale.
Ha poi promesso di firmare il 27 giugno l’accordo di associazione con l’Unione europea e ha ricordato di considerare ucraina la Crimea, da poco annessa alla Federazione russa. «La Crimea non tornerà mai a far parte dell’Ucraina»: gli ha risposto immediatamente Vladimir Konstantinov, capo del Consiglio di Stato della repubblica autonomista, in un comunicato pubblicato sul sito web del Parlamento della Penisola. «Poroshenko può dire quello che vuole, le sue affermazioni sono prive di senso» ha concluso.
L’oligarca Poroshenko ha infine specificato di realizzare quanto promesso durante la sua campagna elettorale riguardo il cambiamento per quanto riguarda corruzione e dominio degli oligarchi. La prima prova della sua indipendenza presidenziale e determinazione — ha scritto la stampa russa — «è probabile avrà a che fare con le province orientali del paese che hanno boicottato le elezioni e si difendono contro la repressione militare di Kiev». Finora però Poroshenko non sembra intenzionato a porre fine agli attacchi aerei e ai bombardamenti contro le città ucraine delle regioni orientali. Un massacro in corso, nel silenzio più totale di istituzioni, leggi Ue, e media. Questo atteggiamento– è lecito chiedersi — dove porterà? Al peggio, naturalmente, con la possibilità che la parte orientale del paese diventi il terreno di conflitto civile, coaudiuvato da mercenari e «volontari» capaci di infiltrarsi in entrambe le parti in gioco e alzare — e non di poco — la drammaticità degli eventi.
«Fermare il massacro» è la domanda principale che proviene dalla Russia e da chi sta seguendo quanto accade nell’est ucraino. In tutta questa situazione non poteva mancare l’appoggio ufficiale di Ue e Nato. «Desidero ribadire il continuo appoggio ed impegno dell’Unione Europea nei confronti dell’Ucraina» ha dichiarato il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, che ha preso parte alla cerimonia di insediamento a Kiev. Van Rompuy — senza ricordare il conflitto in corso e il fatto che la metà della popolazione ucraina non ha votato) ha sottolineato come «la netta maggioranza garantitagli alle elezioni ha messo in luce il desiderio del popolo ucraino di riportare la stabilità nel paese».
«Gli alleati della Nato — ha specificato poi Rasmussen — restano impegnati a sostenere la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina». Infine Putin: ieri è arrivata l’ufficialità del rafforzamento delle frontiere russe, dopo che i soldati ucraini hanno perso ben tre basi di frontiera.
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