Omicidio Politkovskaja, due ergastoli
MOSCA . Un pizzico di Giustizia è arrivato ieri mattina in un aula di un tribunale di Mosca.
Dopo otto anni di indagini, processi, e vari misteriosi incidenti legali, due ergastoli sono stati inflitti agli assassini di Anna Politkovskaja, giornalista che denunciava le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Putin, in Russia e nel Caucaso ribelle.
Ma mentre gli imputati rispondevano alla sentenza mostrando sorrisi minacciosi, gli avvocati di parte civile, i figli della Politkovskaja e i colleghi del suo giornale di opposizione Novaja Gazeta, erano tutt’altro che entusiasti.
La notizia della condanna, data con grande enfasi da radio e tv, sembra infatti chiudere la vicenda e lasciare irrisolto l’unico vero interrogativo: chi ordinò di eliminare la giornalista più odiata da Putin, scegliendo tra l’altro la data del compleanno del Presidente?
La spiegazione di investigatori e giudici russiresta infatti parziale e lacunosa. Il giovane ceceno Rustam Makhmudov avrebbe ucciso Anna Politkovskaja la mattina del 7 ottobre 2006. Era appostato nell’androne del palazzo della giornalista. Gli è bastato vederla uscire dall’ascensore per uccidere. Il tutto gli sarebbe stato ordinato dallo zio Lom-Ali Gaitukayev, il secondo ergastolo comminato ieri. «Perché, avrei dovuto farlo?», urlava sprezzante al giudice l’anziano ceceno. La risposta, nelle carte processuali non c’è.
Ad accompagnare il killer sotto casa della vittima e ad organizzare i pedinamenti preventivi per scoprirne orari e abitudini, ci hanno pensato i fratelli Dzhabrail e Ibragim, condannati ieri a 14 e 12 anni. A proteggerli e istruirli c’era un tale Serghej Khadzhikurbanov, ex poliziotto, condannato, sempre ieri, a 20 anni di colonia penale. Perché un ex poliziotto nella banda di assassini? Domanda inquietante soprattutto se si pensa che in un processo separato era già stato condannato a 11 anni di carcere duro, Dmitrj Pavluchenkov, dirigente
del distretto di polizia in cui abitava la Politkovskaja. Avrebbe gestito le mosse del gruppo e procurato personalmente l’arma.
C’erano dunque poliziotti, ambigui personaggi arrivati dalla Cecenia, e chissà chi altri, in quei giorni a Mosca a pianificare la morte di un personaggio scomodo per il Cremlino.
Inevitabile dunque la reazione dei figli della giornalista, Ilja e Vera: «La vicenda non è conclusa, andremo fino in fondo. Vogliamo il mandante».
Difficile aspettarsi sviluppi a breve. Tra i giornalisti di Novaja, l’ipotesi più attendibile resta quella che porta a Ramzan Kadyrov, spregiudicato dittatore della Cecenia per nomina di Putin, che avrebbe voluto fare così un sanguinoso regalo di compleanno al suo protettore. Voci che si levano da quella stessa mattina senza trovare conferme. E che svuotano di senso l’entusiasmo con cui la tv di Stato annunciava ieri: «Finalmente giustizia è fatta».
Related Articles
Guantánamo ancora non chiude! Sorpresi?
Foto: Globalsolutions.org
Fin dal mio primo viaggio a Cuba, era il 1997, non ho mai smesso di stupirmi dell’esistenza di una base militare americana di circa 120 km quadrati nell’estremo sud-est di Cuba.
Attacco uguale «catastrofe»
La Turchia attivissima in un ruolo di mediazione che scongiuri il peggio
In Italia si dimezzano le domande d’asilo, ma non la richiesta di servizi