Non c’è lavoro sotto i 24 anni Disoccupato un giovane su due

by redazione | 4 Giugno 2014 9:37

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ROMA — Così in basso, nel conto dei disoccupati, ma forse si dovrebbe dire così in alto, perché le percentuali s’impennano, non c’eravamo mai arrivati. Dal 1977, anno delle prime rilevazioni trimestrali, quando il tasso fu del 6,4, abbiamo toccato il massimo storico con un livello di disoccupazione nei primi tre mesi di quest’anno pari al 13,6 per cento, 0,8 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2013. Va malissimo anche per i giovani dai 15 ai 24 anni, dice l’Istat: la disoccupazione è il 46 per cento della forza lavoro. Uno su due di quelli che cercano un’occupazione non la trova.
Al Sud i numeri sono ancora più alti, 21 per cento la disoccupazione (molto vicina alla maglia nera dell’Europa, la Spagna, che si attesta al 25,1 per cento) e addirittura 60,9 per cento (6 giovani su dieci), quella giovanile. E non confortano le indicazioni di aprile, quando la disoccupazione si è fermata un po’ prima di quel record, attorno al 12,6 per cento. Spiega l’Istat che i due valori, mensile e trimestrale, non sono paragonabili e quindi a quel massimo storico ci stiamo davvero.
I giovani occupati dai 15 ai 24 anni sono 68 mila in meno in un solo mese, mentre ce ne sono 81 mila in più tra gli inattivi, quelli che restano fuori dal mercato del lavoro. Il leggero calo dei disoccupati su marzo, 14 mila in meno, quasi tutti assunti con contratto part time, non ci trascina fuori dalla palude.
Proprio non ci voleva, il giorno dopo le raccomandazioni di Bruxelles che chiede all’Italia di non allontanarsi dalla «retta via», visto che è parecchio indietro sulla strada del risanamento del debito pubblico. Un monito al quale Matteo Renzi ha ribattuto subito con parole di ottimismo («Ce la faremo, l’Italia sta facendo la sua parte, non occorrono nuove manovre») e che ha ribadito ieri tornando a sottolineare la necessità di riforme, non solo economiche, ma anche istituzionali e costituzionali, per muovere il Paese.
Ma l’aria era pesante. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha espresso grave preoccupazione per questi numeri: «Non raccontiamoci storielle — ha detto —. Stiamo strisciando sul fondo». Facce scure nei sindacati. Susanna Camusso, Cgil: «Cresce il divario tra Nord e Sud». Luigi Angeletti, Uil: «Il 2014 non mi sembra l’anno della svolta». «È allarme rosso», per la Cisl. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti vede la crisi «alle spalle» e questi numeri, dice, sono solo «una coda velenosa». Quanto al responsabile dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha ammesso, parlando alla stampa estera, che la ripresa è troppo debole e ha ribadito che «è arrivato il momento di fare sul serio sulle riforme strutturali». Ha però anche voluto rassicurare i mercati esteri sul fatto che l’Italia manterrà gli impegni presi. E pur negando una manovra correttiva, che con la disoccupazione così alta avrebbe insostenibili effetti depressivi, ha spinto il piede sull’acceleratore delle privatizzazioni. «È indispensabile iniziare a ridurre il debito pubblico», ha detto Padoan, prima di chiudersi in riunione con Renzi a Palazzo Chigi per parlare di delega fiscale, rilancio del Pil, Tasi ancora senza decreto e semestre italiano di presidenza all’Unione europea. E in questo le privatizzazioni giocheranno un ruolo fondamentale. «Alcune, come Poste ed Enav, sono già partite — ha ricordato Padoan —. Altre arriveranno da qui a fine anno. Ritengo ancora valida la cifra di 0,7 punti di Pil». In pratica, con la vendita del 40 per cento delle Poste e del 49 per cento dell’Enav, e poi continuando secondo una road map già delineata, le privatizzazioni garantiranno entrate, dice il ministero dell’Economia, dello 0,7 per cento all’anno per i prossimi anni. E solo con queste due prime privatizzazioni lo Stato pensa di incassare 6 miliardi di euro.
Ce la farà il governo a mantenere la barra in equilibrio? Il dato del fabbisogno, nel mese di maggio, scende a 6 miliardi e 400 milioni contro gli 8 miliardi e 505 milioni del maggio 2013. Nei primi cinque mesi di quest’anno si è fermato a 40 miliardi 245 milioni di euro, con un miglioramento di 8 miliardi e 200 milioni rispetto allo stesso periodo del 2013. Il miglioramento è dovuto, dice il ministero, a «un aumento delle entrate fiscali imputabile, in larga misura, allo slittamento al mese di maggio della prima rata del pagamento dei premi Inail e all’incasso di dividendi che nel 2013 ebbe luogo nel mese di giugno».
C’è pure da tenere in considerazione il dato dell’inflazione dell’eurozona, che a maggio risulta in salita dello 0,5 per cento annuo, rispetto al più 0,7 per cento precedente. Il rallentamento dell’inflazione potrebbe portare a un’intervento della Bce.
Mariolina Iossa

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