Nell’Adriatico dove le trivelle tentano l’ultimo assalto

by redazione | 2 Giugno 2014 8:42

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SULL’ONDA dei timori ucraini la battaglia delle trivelle è ripartita. Assieme alle incertezze sulle forniture di gas russo cresce la pressione per aumentare la produzione italiana di idrocarburi. Ma ci sarebbe un vantaggio economico reale e duraturo? E a che prezzo ambientale? Le risposte sono più che mai divergenti. Da una parte il fronte favorevole a una crescita dell’estrazione, che vedrebbe con favore anche una riduzione dell’area di protezione ambientale. Dall’altra il fronte degli ecologisti e delle Regioni coinvolte dai progetti, che teme contraccolpi sul versante del turismo.
A riaprire i giochi è stato, un paio di settimane fa, un intervento di Romano Prodi. In un editoriale sul Messaggero ha proposto di raddoppiare la produzione nazionale di petrolio: bere le riserve dell’Adriatico «con due
cannucce» per evitare che la Croazia, più rapida nel concedere permessi, consumi da sola tutte le risorse sepolte sotto l’Adriatico. Ma l’idea di moltiplicare le trivelle al largo delle spiagge su cui si cerca di far ripartire il turismo ha suscitato la sollevazione di tutta la costiera adriatica.
Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha aperto le ostilità annunciando un’opposizione assoluta: «Non sto soltanto pensando alla disastrosa ipotesi di eventuali sversamenti di greggio, ma anche all’impatto visivo che gli impianti avrebbero sul paesaggio. Per non parlare poi dell’ipotesi di subsidenza e terremoti, tristi esperienze che i territori costieri hanno provato sulla loro pelle nei decenni passati. Con le estrazioni di metano il Veneto ha già pagato un prezzo altissimo. Cosa accadrebbe a Venezia? E poi quella ricetta è vecchia: l’energia del futuro non deriva da estrazioni petrolifere: è quella eolica, solare, dell’idrogeno».
Anche il presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, ha insistito sulla necessità di uno sviluppo ecosostenibile in tutto l’Adriatico. E Luciano D’Alfonso è stato appena elettro presidente della Regione Abruzzo dopo una campagna elettorale che ha avuto tra i motivi dominanti la battaglia contro gli «ufo», le piattaforme estrattive davanti alle coste.
Proteste alimentate dal numero delle nuove domande per sondaggi esplorativi: solo nello Ionio le trivelle minacciano 5 mila chilometri quadrati di fondali. Delle 10 richieste presentate per la ricerca di petrolio su questo litorale, 8 sono in corso di valutazione di impatto ambientale, una è in fase di rigetto, una ha terminato il suo iter ed è in attesa dei decreti autorizzativi (quella di Apennine Energy per un’area di 63 chilometri quadrati a ridosso della costa tra Marina di Sibari e Schiavonea).
Che fine faranno queste richieste? Il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti è intervenuto a difesa dell’attuale sistema di tutela che vieta le trivellazioni a 12 miglia dalle coste e dalle aree protette e ha annunciato rigore nell’esame della valutazione d’impatto ambientale dei progetti. Ma ha evitato di porre veti assicurando che le domande per le nuove perforazioni saranno esaminate caso per caso «senza pregiudizi favorevoli o contrari».
Del resto la possibilità di una consistente crescita dell’estrazione di idrocarburi dal territorio nazionale era stata già prevista due anni fa dalla Sen (Strategia energetica nazionale), che però aveva aggiunto un dato importante: arrivando a un aumento del 148 per cento di greggio, le riserve nazionali si esaurirebbero in 10 anni. Ha senso impostare uno sviluppo economico facendo affidamento su una risorsa così limitata?
«Rischiamo di rinunciare a uno sviluppo solido e duraturo nel campo dell’energia e del turismo per un pugno di barili», obietta Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente. «In base ai dati del ministero dello Sviluppo produttivo, se usassimo solo il petrolio nazionale, le riserve nascoste sotto i fondali marini finirebbero in 50 giorni. E per quanto riguarda il gas, più concentrato nell’Adriatico settentrionale, i numeri sono ancora più piccoli. Se vogliamo ridurre la bolletta energetica degli italiani è meglio pensare ad altro. Ad esempio a sostenere l’industria nazionale delle rinnovabili, che ha creato oltre 100 mila posti di lavoro e fornisce un terzo dell’elettricità. O a spostare una quota di traffico dalla gomma al ferro, smettendo di regalare ogni anno 400 milioni di euro all’autotrasporto».

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