La «nazione» dei profughi Oggi sono più di 50 milioni

La «nazione» dei profughi Oggi sono più di 50 milioni

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Un Paese in più al mondo, popoloso quanto la Colombia o il Sudafrica, poco meno dell’Italia: 51,2 milioni di persone. Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, i «migranti forzati» hanno superato la soglia dei cinquanta milioni.
È il primo dato che emerge dal nuovo Rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), diffuso oggi e anticipato al Corriere . Si riferisce a donne, uomini e bambini costretti a lasciare le proprie case e a mettersi in viaggio, in conseguenza di guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani. Tiene insieme il conteggio degli «sfollati» — rimasti all’interno dei confini nazionali — 33,3 milioni di persone; quello dei «rifugiati» — che hanno attraversato almeno una frontiera — 16,7 milioni, la metà minorenni; più 1,2 milioni di «richiedenti asilo», che nel 2013 hanno fatto domanda di protezione internazionale.
A spingere i numeri verso l’alto è il conflitto siriano, che ha superato il terzo anno e non promette soluzioni. È da qui che arrivano i flussi che fanno tracimare il Rapporto: 2,47 milioni di rifugiati a fine 2013; 6,5 milioni di sfollati interni. Con conseguenze che si irradiano in tutta l’area euromediterranea. «La crisi si protrae — spiega Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per il Sud Europa — ed è talmente devastante, con la distruzione di villaggi, di intere città, delle infrastrutture, di tutto il sistema sanitario, da non lasciare ai profughi speranze di rientro». I dati del 2013 dicono anche questo: più guerre, più lunghe, più bassa la quota di chi riesce a tornare a casa (solo 416 mila in tutto il pianeta).
Certamente non i siriani, che si sono al principio allontanati in un raggio breve, Libano, Giordania e Turchia, appena al di là della frontiera, e che adesso, osserva Sami, spesso coi bambini al seguito, partono verso progetti di vita altrove, la maggior parte in Europa, qualcuno negli Stati Uniti. Perché le prospettive di rimpatriare (trovando le condizioni per ricominciare) sono scarse.
Corollario della crisi siriana, la trasformazione — nell’arco di un anno soltanto — del piccolo Libano nel terzo Paese al mondo per rifugiati (856 mila), il primo in assoluto (e con ampio distacco) nella proporzione tra abitanti e profughi: 178 ogni mille. Uno sbilanciamento destinato ad avere conseguenze in un incastro già fragile di minoranze. Qui, come nell’intera regione. Carichi così alti pesano inevitabilmente negli altri Stati confinanti, soprattutto in Giordania (641 mila).
In cima alla lista degli approdi, però, restano Pakistan (1,6 milioni di profughi) e Iran (857 mila), effetto ancora della crisi afghana: benché i riflettori si siano spostati altrove, le violenze in queste valli continuano a obbligare migliaia di persone a mettersi in viaggio. Sono ancora gli afghani i più numerosi tra i rifugiati (2,56 milioni), assieme ai siriani, certo, e ai somali (1,12 milioni): tre nazionalità che assieme rappresentano il 53 per cento di tutti i popoli in fuga.
Crisi lunghe, speranza di rinascita in Europa: è una delle ragioni che spiegano l’aumento degli sbarchi sulle nostre coste. In Italia, indica il Viminale, al 13 giugno sono 53.763. Unhcr fornisce al Corriere la cifra delle richieste d’asilo nello stesso arco di tempo, che dà la misura di chi intende restare: 23 mila. Oltre il doppio delle domande presentate nei primi sei mesi del 2013 (10.900), non lontano dalla cifra complessiva dell’anno scorso (27.000). Molto al di sotto, però, delle quote tedesche (42 mila solo da gennaio ad aprile), che lasciano pensare a un nuovo «record». La Germania, già nel 2013, è in cima alla lista mondiale per richieste d’asilo, con un numero che equivale a una città delle dimensioni di Vicenza: 109.580.
Alessandra Coppola


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