by redazione | 24 Giugno 2014 8:12
BRUXELLES — Almeno per quest’occasione, l’aggettivo «storico» non sembra esagerato. E’ una svolta storica, infatti, quella che giunge da Berlino: per la prima volta dall’inizio della grande crisi Angela Merkel, la cancelliera tedesca «madre» della graticola chiamata Fiscal compact e dell’austerità nei bilanci degli Stati euro, fa sapere che i governi in maggior difficoltà potranno avere più tempo per risanare le proprie casse, per rientrare dal deficit. E poter far contare di più i propri investimenti produttivi nel calcolo dello stesso deficit, cioè alleggerire alla fine quest’ultimo. La cancelliera cambia direzione perché sente anche lei i preavvisi di una crisi? Nessuno può dirlo. Lei non sarà naturalmente l’unica a decidere, ma è come se parlasse a nome di (quasi) tutta la Ue: la sua Germania è il Paese con la maggiore produttività, il maggiore export, i bilanci più in ordine, il telaio economico e finanziario più saldo; un «no» di questa Germania può bloccare qualunque marcia intrapresa dall’intera Ue; ma un «sì» anche velato e generico, come in questo caso, può essere la spinta che smuove anche il Paese più demotivato.
La svolta preannunciata si compirà, se si compirà, entro i cinque anni di mandato della nuova Commissione europea.
E consisterà in questo, traducendo in soldoni il linguaggio dei ministri delle cancellerie: da oggi, Berlino accetta in via di principio che la Ue possa accordare deroghe temporali ai vincoli del patto di Stabilità e di crescita (come se una banca concedesse a un suo cliente debitore, già sottoposto a solleciti e avvisi di mora, il rinvio di una pesante rata del mutuo); e soprattutto, la cancelleria tedesca ammette che, al posto o al fianco della terapia da cavallo dell’«austerity», si tenti all’occorrenza quella più morbida della flessibilità. Cioè la stessa proposta dall’Italia nel documento fatto pervenire nei giorni scorsi al presidente Ue Herman Van Rompuy.
Matteo Renzi, si è detto sui media, ha offerto alla cancelliera tedesca il suo «sì» alla candidatura di Jean-Claude Junker (Partito popolare europeo come la Merkel) per la guida della Commissione europea; e ha chiesto in cambio più flessibilità, meno catene ai bilanci domestici. Può essere che sia vero, oppure no. Ma intanto il Financial Times coglie l’occasione per parlare di «sfida» fra la cancelliera e il presidente del Consiglio sul futuro dell’Europa».
Di tutto questo, si parlerà nel vertice dei capi di Stato e di governo che si aprirà dopodomani a Ypres, per poi proseguire e concludersi a Bruxelles.
La mossa della cancelliera non è però un «liberi tutti», la signora non molla la sua proverbiale cautela. Prima di tutto, non annuncia in prima persona la svolta, ma lo fa attraverso il suo portavoce Steffen Seibert: un modo diplomaticamente più sfumato per venire allo scoperto. Poi, e questa volta parla proprio lei, mette dei paletti qui e là, affermando che il patto di Stabilità non dovrà essere toccato nella sua sostanza.
Ecco il portavoce Seibert, in risposta alle domande dei giornalisti che gli chiedono se i tempi di rientro dal deficit potranno essere allungati quando un Paese soffrirà per il peggioramento della crisi: il patto di Stabilità «può essere applicato in modo flessibile in singoli casi, come già è stato fatto in passato» (riferimento alla Francia, al cui deficit viene concesso di superare il 4,3% del Pil, quando il tetto Ue si ferma al 3%), mentre già oggi «si può tener conto degli investimenti per le riforme» nella valutazione del bilancio.
Seibert sta ancora parlando, che da tutt’altra parte la signora Merkel corregge felpatamente il tiro: alla riunione di segreteria del suo partito, la Cdu, incontra il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, e conferma che le regole sul deficit contenute nel patto restano valide e devono essere rispettate. «La credibilità deriva dal rispetto delle regole che ci si è dati», chioserà più tardi il portavoce Seibert.
La contraddizione che traspare da tutto il discorso (deroghe al patto, ma senza cambiare il patto) è forse solo apparente, anche se Paesi rigoristi come l’Austria già mugugnano con la cancelliera: quel che conta, a Bruxelles più ancora che a Berlino, è il preannuncio indicativo di una nuova rotta, dopo anni di corsa in un’altra direzione. I particolari verranno poi messi a punto nelle diverse tappe: ma intanto, il binomio Merkel-austerity perderà forse in durezza e guadagnerà in popolarità.
Luigi Offeddu
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