L’obiettivo Usa realizzato da al Qaeda: la spartizione dell’Iraq

by redazione | 12 Giugno 2014 9:32

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Sarà al Qaeda a rea­liz­zare quello che era l’obiettivo degli ame­ri­cani in Iraq? Se con­ti­nua l’avanzata nelle zone sun­nite dell’Esercito isla­mico dell’Iraq e del Levante la spar­ti­zione del paese sarà un dato di fatto.
L’organizzazione legata ad al Qaeda ha rea­liz­zato negli ultimi giorni un’offensiva ful­mi­nea che l’ha por­tata a con­qui­stare Mosul, la seconda città ira­chena, Baiji, sede della raf­fi­ne­ria più impor­tante, Tikrit, città natale di Sad­dam Hus­sein, fino ad arri­vare ad occu­pare alcuni quar­tieri di Kirkuk.

L’esercito di Bagh­dad non ha saputo opporre resi­stenza, anzi ha abban­do­nato il campo pur essendo più nume­roso dei com­bat­tenti jiha­di­sti. Tanto che i capi mili­tari potreb­bero essere por­tati davanti alla corte mar­ziale per aver nasco­sto la gra­vità della situa­zione.
Circa 500.000 per­sone hanno abban­do­nato Mosul: un altro esodo di dimen­sioni bibli­che. Non è il primo e non sarà l’ultimo in Iraq.

Com’è potuta avve­nire que­sta disfatta del governo sciita di al Maliki, il cui eser­cito non è stato in grado di ripren­dere il con­trollo di Fal­luja, da gen­naio in mano ad al Qaeda, e ora di opporsi all’avanzata in gran parte delle zone sun­nite o sunno-kurde? In realtà il governo al Maliki con il suo eser­cito sciita non ha mai avuto il con­trollo di quelle zone, in città miste e riven­di­cate dai kurdi, come Mosul e Kir­kuk. L’addestramento ame­ri­cano in tutta quest’area non ha mai avuto suc­cesso, anzi ora gli arma­menti for­niti dagli Usa sono finiti nelle mani dei qaedisti.

A Mosul vivono circa 7.000 ex uffi­ciali di Sad­dam e oltre 100.000 ex sol­dati, rimossi dal loro ser­vi­zio dopo il pro­cesso di de-Baathificazione. La situa­zione era già peg­gio­rata nel 2007 con l’arrivo dei qae­di­sti espulsi da Bagh­dad e dalla pro­vin­cia di Anbar da al Sahwa (il movi­mento del risve­glio), appog­giato dagli Usa. Da allora Mosul e la pro­vin­cia di Ninive sono diven­tati la base dell’Isil che aveva lan­ciato una cam­pa­gna con­tro le mino­ranze, soprat­tutto i cri­stiani e gli yazidi.

Gli imam che non segui­vano la linea indi­cata veni­vano giu­sti­ziati, i negozi di alco­lici dati alle fiamme, minac­ciate le donne che non vesti­vano «appro­pria­ta­mente», gli arti­sti e gli uni­ver­si­tari. Molte le teste roto­late, molte le vit­time civili delle grandi prove per la costi­tu­zione del nuovo Calif­fato. Le mire dell’Isil si sono estese, in seguito alla guerra in Siria, anche al Libano (infatti il nome è cam­biato da Isi in Isil).

I due anni – dal 2011 al 2013 – in cui i qae­di­sti hanno com­bat­tuto soprat­tutto in Siria por­tan­dosi die­tro anche molti jiha­di­sti ira­cheni, hanno dato un po’ di respiro alla città. Ma dopo lo scon­tro con l’altro gruppo qae­di­sta, il fronte al Nusra (rap­pre­sen­tante uffi­ciale di al Qaeda in Siria) l’Isil, seguendo la pro­pria stra­te­gia di non com­bat­tere dove non può reg­gere il con­fronto, è ripie­gato sull’Iraq, pur man­te­nendo le pro­prie posta­zioni nel nord della Siria. Ma nel frat­tempo la guerra con­tro Assad aveva pro­cu­rato all’Isil popo­la­rità, soldi, armi e uomini, ai quali si sono aggiunti i pri­gio­nieri liberati.

L’ effetto si è visto negli ultimi giorni. Chi potrà fer­mare i qae­di­sti? Solo i pesh­merga kurdi potreb­bero farlo, del resto sono stati gli unici a garan­tire negli ultimi anni quel poco di sicu­rezza di cui hanno goduto que­ste zone. Un aiuto al governo cen­trale che il governo kurdo farà pesare visto il con­tra­sto con Bagh­dad sulla ren­dita petrolifera.

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