Juncker. Un dinosauro d’Europa per gestire la svolta delle parole

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Toc­cherà a un dino­sauro dell’Europa gestire la svolta della poli­ti­ciz­za­zione dell’Unione. Il lus­sem­bur­ghese Jean-Claude Juncker è stato scelto dal Con­si­glio euro­peo come pre­si­dente della pros­sima Com­mis­sione, per la prima volta con un voto palese ad alzata di mano, che è stato a mag­gio­ranza qua­li­fi­cata, 26 a favore, 2 con­tro (Gran Bre­ta­gna e Unghe­ria). Il 16 luglio dovrà essere con­fer­mato dal Par­la­mento euro­peo, con almeno 376 voti su 751. Ma non conta tanto il nome, quanto il metodo. Non solo per aver rispet­tato l’impegno elet­to­rale di eleg­gere il can­di­dato del gruppo poli­tico arri­vato in testa, ma per­ché l’appoggio dato dall’altra parte poli­tica – il Pse – è stato con­di­zio­nato a un docu­mento sul man­dato della pros­sima Com­mis­sione: cre­scita e occu­pa­zione sono iscritte al primo posto. Ma è una vera vit­to­ria dell’asse social­de­mo­cra­tico (nuovo nome del vitu­pe­rato “Club Med” degli spen­dac­cioni)? La vit­to­ria è, per ora, solo “terminologica”.

A un mese dalle euro­pee, che hanno visto la cre­scita dell’euroscetticismo e delle destre estreme, l’Unione euro­pea si inte­ressa agli effetti dell’austerità, su pres­sione italo-francese, alla vigi­lia della pre­si­denza seme­strale ita­liana del Con­si­glio dei mini­stri. Ma il Fiscal Com­pact non cam­bia e non sarà modi­fi­cato. La sta­bi­lità e il rien­tro dei defi­cit dovranno essere rispet­tati da tutti. Ma ci sarà una fles­si­bi­lità nell’applicazione delle regole, tenendo conto dei pro­grammi di riforme. Ma que­sta sup­po­sta fles­si­bi­lità dovrà essere nego­ziata con la Com­mis­sione, non sarà decisa dai sin­goli stati.

Ieri a Bru­xel­les, dopo la gior­nata a Ypres per com­me­mo­rare la prima guerra mon­diale e i disa­stri cau­sati dai nazio­na­li­smi nella cit­ta­dina che ha subito i bom­bar­da­menti con il gas, i capi di stato e di governo hanno defi­nito un qua­dro gene­rale per i pros­simi cin­que anni. Il quale dovrà essere riem­pito nei det­ta­gli nei pros­simi mesi, per sta­bi­lire un equi­li­brio tra il con­so­li­da­mento dei bilanci, che resta il credo gene­rale della Ue, e le riforme che ne deri­vano, lasciando pero’ un po’ di mar­gine di mano­vra per non pena­liz­zare a oltranza le popo­la­zioni. Di fronte all’evidenza di un’austerità che sof­foca ogni ten­ta­tivo di ripresa eco­no­mica e deprime l’economia, la nuova Com­mis­sione allen­terà un po’ la stretta. A con­di­zione che i paesi in defi­cit ecces­sivo e con un alto debito pub­blico si impe­gnino a rea­liz­zare un piano di riforme (che vanno tutte nella dire­zione tra­di­zio­nale di razio­na­liz­za­zione e tagli, con limi­ta­zioni della spesa pub­blica per il wel­fare). La Ger­ma­nia ha accet­tato il deal pro­po­sto da Ita­lia e Fran­cia, ma Angela Mer­kel è decisa a ripar­tire all’attacco. Il dia­volo sta nei det­ta­gli: nei pros­simi mesi, Ber­lino potrebbe imporre i “con­tratti” fir­mati dai sin­goli stati con Bru­xel­les, per defi­nire un piano di attua­zione delle riforme in cam­bio di inci­ta­zioni finan­zia­rie. Una solu­zione che lascia tutti per­plessi, i paesi vir­tuosi del nord che non vogliono pagare con dei fondi euro­pei le riforme fatte in ritardo dai paesi finora più las­si­sti e quelli del sud, che si vedono limi­tare la sovra­nità nazio­nale. L’aver riman­dato il ver­tice di Torino sulla disoc­cu­pa­zione gio­va­nile, da luglio al pros­simo autunno, viene giu­sti­fi­cato dalla neces­sità di tra­durre in pra­tica le indi­ca­zioni gene­rali del Con­si­glio di ieri. Mat­teo Renzi ha accolto le con­clu­sioni del ver­tice con un giu­di­zio “molto posi­tivo”. Ma adesso, ha aggiunto “c’è un pic­colo par­ti­co­lare: ora vanno fatte le riforme” a casa pro­pria. Renzi, dopo momenti di ten­sione con Angela Mer­kel, incassa gli inco­rag­gia­menti della can­cel­liera: “sono molto felice per il pro­gramma di riforme ita­liano, i mille giorni di Renzi, non ho alcun dub­bio che l’Italia avrà un tasso di cre­scita più alto rispetto a quanto avvenga oggi”. La Fran­cia ha pre­pa­rato un pro­getto det­ta­gliato di inve­sti­menti, di 1200 miliardi di euro in cin­que anni, per infra­strut­ture, ricerca, ener­gia, for­ma­zione dei gio­vani e salute. Ma per ora, resta un pro­getto sulla carta, nes­suno lo ha ana­liz­zato. Dovrebbe inclu­dere anche la mobi­li­ta­zione del rispar­mio delle fami­glie, che in Europa è pari al 12% del pil. Juncker. Ma tutti i 28 paesi sali­ranno su que­sto carro, che com­porta una mag­giore inte­gra­zione? Mer­kel ha avver­tito: “non è detto che l’Ue debba essere tutta alla stessa velo­cità, ci pos­sono essere diverse velocità”.

Accordo-quadro anche sull’immigrazione, men­tre i det­ta­gli sono ancora da defi­nirsi. Renzi porta a casa “un buon accordo di base” a suo dire, per “allar­gare gra­dual­mente l’operatività di Fron­tex”, cioè un Fron­tex Plus che per­met­terà all’Italia “di inter­ve­nire un po’ meno da sola nel Medi­ter­ra­neo”: anche qui, il credo di base – il Medi­ter­ra­neo come fron­tiera di sepa­ra­zione con il sud del mondo – resta.

Molto diranno le pros­sime nomine, che ver­ranno defi­nite in un mini-vertice dei capi di stato e di governo il 16 luglio (intanto già si sa che Enrico Letta non sarà pre­si­dente del Con­si­glio Ue, “nes­suno ne ha par­lato” ha affer­mato Renzi). La bat­ta­glia è feroce. Per esem­pio, la Fran­cia vuole una impor­tante vice-presidenza per poter gestire qual­che leva del rilan­cio eco­no­mico. In que­sto con­fronto, non è detto che David Came­ron, che esce scon­fitto dalla scelta dell’inviso Juncker, non rien­tri con una vit­to­ria in un carica di primo piano, gra­zie all’asse sot­ter­ra­neo sta­bi­lito con Merkel.



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