Julian Assange, due anni a Londra, recluso nell’ambasciata

by redazione | 19 Giugno 2014 9:04

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Nes­sun tri­bu­nale gli ha com­mi­nato la pena, ma è costretto agli arre­sti domi­ci­liari da due anni. È que­sta la situa­zione di Julian Assange, cofon­da­tore del sito Wiki­leaks. Il 19 giu­gno del 2012, si è rifu­giato nell’ambasciata ecua­do­riana a Lon­dra e ha chie­sto asilo poli­tico. Lo ha otte­nuto, ma da lì non ha più potuto uscire per il peri­colo di essere estra­dato in Sve­zia e poi negli Stati uniti. In Sve­zia deve com­pa­rire in tri­bu­nale a seguito di una denun­cia per mole­stie ses­suali, che ha sem­pre negato. Negli Stati uniti, invece, è accu­sato di aver fatto esplo­dere sul suo sito (attivo dal 2006) il Cablogate.

Assange ha rac­colto la testi­mo­nianza del sol­dato Brad­ley Man­ning, che gli ha pas­sato docu­menti con­fi­den­ziali della diplo­ma­zia nor­da­me­ri­cana, ini­zial­mente rifiu­tati dai grandi quo­ti­diani. Nell’aprile 2010, Man­ning viene arre­stato e nell’agosto del 2013 una corte mar­ziale lo con­danna a 35 anni. In quell’occasione, l’ex sol­dato dichiara di aver divul­gato i docu­menti per far cono­scere gli abusi com­piuti dal governo nor­da­me­ri­cano in Iraq e in Afgha­ni­stan. Rivela anche di aver sem­pre desi­de­rato essere una donna e di volersi chia­mare Chel­sea. Per que­sto, dopo la con­danna, viene tra­sfe­rita in una strut­tura civile per rice­vere le neces­sa­rie cure ormo­nali. Il gay pride di San Fran­ci­sco la elegge Gran Mar­shall e la comu­nità omo­ses­suale con­ti­nua a soste­nerla. Per ricor­dare i due anni di «clau­sura» del fon­da­tore di Wiki­leaks nell’ambasciata ecua­do­riana a Lon­dra e la deten­zione di Man­ning anche oggi si svol­gono diverse ini­zia­tive (in Ita­lia a Vicenza, ore 21, C. S. Boc­cio­dromo, Via Rossi 198, Rete di uomini Pay­day www?.refu?sing?to?kill?.net; queerstrike@?queerstrike.?net).

Negli Stati uniti, Assange rischia una con­danna all’ergastolo: a par­tire dal luglio del 2010, ha pub­bli­cato 250.000 file, che rive­lano le con­ver­sa­zioni inter­corse tra Washing­ton e le sue diplo­ma­zie (circa 270 amba­sciate e con­so­lati sparsi in tutto il mondo) nei tre anni pre­ce­denti. Nell’ottobre 2010, ven­gono rese pub­bli­che 400.000 infor­ma­tive mili­tari sull’Iraq, inter­corse tra il 2004 e il 2009. Man­ning, ana­li­sta infor­ma­tico, faceva il sol­dato in Iraq e aveva accesso ai data­base, da cui ha attinto per 8 mesi. Li sal­vava su un cd masche­rato con la coper­tina di Lady Gaga e poi li tra­sfe­riva su una chia­vetta desti­nata ad Assange.

Quest’ultimo, è inse­guito da un man­dato di cat­tura delle auto­rità sve­desi dal 2010, anche in Europa. A dicem­bre di quell’anno, si con­se­gna a Sco­tland Yard ed è libe­rato dopo il paga­mento di una cau­zione, 9 giorni dopo. A feb­braio del 2011, la magi­stra­tura bri­tan­nica decide la sua estra­di­zione. Assange fa appello. Ad aprile del 2011, a seguito delle rive­la­zioni di Wiki­leaks, il governo dell’Ecuador espelle l’ambasciatrice Usa, Hea­ther Hod­ges. Assange, durante i suoi 500 giorni di arre­sti domi­ci­liari a Lon­dra (quella volta decisi dal giu­dice) inter­vi­sta il pre­si­dente Rafael Cor­rea nel suo pro­gramma radio tra­smesso su Rus­sia Today. E, quando a mag­gio del 2012 la Corte suprema bri­tan­nica decide la sua estra­di­zione in Sve­zia, si rifu­gia nell’ambasciata ecua­do­riana a Lon­dra e ottiene asilo poli­tico da Cor­rea il 15 ago­sto.
L’Ecuador risponde così alle minacce della Gran Bre­ta­gna, in linea con l’atteggiamento assunto dai paesi socia­li­sti dell’America latina di fronte alle rive­la­zioni delle inge­renze Usa. Una situa­zione che s’inasprisce ulte­rior­mente con l’aggiungersi di un’altra fonte — Edward Sno­w­den — e di un altro grosso scan­dalo, quello del Data­gate, che scop­pia nell’estate del 2013 e com­patta anche i grandi paesi lati­noa­me­ri­cani, Bra­sile e Argentina.

Il governo ecua­do­riano non ha mai smesso di cer­care una solu­zione per Assange, che a luglio com­pirà 43 anni da recluso volon­ta­rio. La Gran Bre­ta­gna ha però finora rispo­sto pic­che a ogni pro­po­sta di sal­va­con­dotto per il gior­na­li­sta austra­liano. «Stanno atten­tando ai diritti umani di una per­sona, che può vedere la luce del sole solo mezz’ora al giorno affac­ciato a un bal­cone», ha dichia­rato Cor­rea durante un incon­tro con i media, e ha denun­ciato «la pre­po­tenza imperiale».

Per oggi, insieme a rap­pre­sen­tanti del governo ecua­do­riano, Assange orga­nizza una con­fe­renza stampa. Intanto, ha pre­pa­rato una can­zone sulla mani­po­la­zione media­tica e sull’influenza di inter­net in poli­tica. Insieme al duo musi­cale por­to­ri­cano Calle 13.

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