Iraq. Jihadisti avanti, ai curdi il petrolio di Kirkuk

by redazione | 13 Giugno 2014 9:10

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GERUSALEMME — Iraq al collasso. Tre anni dopo il ritiro americano, l’unità del Paese appare minata alle radici. L’avanzata verso Bagdad dei fondamentalisti sunniti guidati dalla milizia dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante» (Isis) continua senza che il governo sciita di Nouri al Maliki riesca ad opporre una forza di resistenza consistente. Nella capitale la popolazione accumula cibo, carburante e si prepara al peggio. Il rischio ora è che la guerra civile torni a farsi realtà come nei mesi sanguinosi del 2006 e 2007. I muri tra quartieri sciiti e sunniti della capitale tornano a farsi più alti che mai. Ieri il premier ha subito l’ennesimo smacco. Aveva convocato d’urgenza il Parlamento per dichiarare lo «stato di emergenza» e ricorrere a provvedimenti eccezionali per combattere le milizie sunnite. Ma è mancato il quorum, solo 128 dei 325 deputati sono apparsi in aula.
Un colpo grave per un leader sempre più disorientato, impotente e incapace di affrontare la prospettiva ormai concreta di sfaldamento della coesione nazionale. L’Iran resta al suo fianco. Il presidente americano Barack Obama ieri ha dichiarato che «l’Iraq avrà bisogno di ulteriore assistenza» e che il governo Usa sta esaminando «tutte le opzioni». Ma il fallimento di Maliki di inglobare gli elementi moderati dell’universo sunnita nella compagine governativa ha rafforzato le ali più estremiste, ben contente di stringere l’alleanza con la ribellione sunnita in Siria e decise a soverchiare gli sciiti in nome dell’utopia radicale del «nuovo Califfato wahabita». Le ultime notizie dal fronte dei combattimenti raccontano della rotta disordinata dell’esercito regolare iracheno. A Tikrit i veterani baathisti fraternizzano con le avanguardie dei nuovi radicali. Fonti locali segnalano pattuglie sunnite posizionate già una trentina di chilometri a nord dalla capitale. «Dobbiamo marciare su Bagdad. Abbiamo da regolare un vecchio conto laggiù», tuonano i leader dell’Isis. I più bellicosi minacciano di mettere a ferro e fuoco Karbala e Najaf, le città sante dell’universo sciita. Pare che solo nella città di Samarra le truppe regolari locali siano riuscite a resistere. Per il resto, l’Isis riporta vittoria dopo vittoria. Un monito per gli americani: lo scenario iracheno non preannuncia ciò che potrebbe avvenire nel prossimo futuro in Afghanistan? Dal 2003 Washington ha speso 25 miliardi di dollari per addestrare e armare i regolari iracheni. Ma tutto ciò appare sprecato. Gli insorti sunniti stanno pescando dagli arsenali abbandonati.
Ad approfittare del caos sono i curdi. Oltre 300 mila profughi dalla regione di Mosul sono entrati nei loro confini presso Erbil. Asserragliati nelle loro province indipendenti, de facto ormai uno Stato a sé, i curdi nelle ultime ore hanno realizzato quasi senza combattere un loro vecchio sogno: il controllo di Kirkuk. È questo uno dei poli petroliferi più importanti del settentrione iracheno. Saddam Hussein trent’anni fa vi aveva espulso la popolazione curda per insediarvi arabi. Dal 2003 i curdi vorrebbero includerla nelle loro regioni, Maliki si è sempre opposto. Ma adesso la strada è aperta e i peshmerga (la milizia curda) costituiscono una formidabile forza militare, forse l’unica coesa, ben comandata e in grado di opporre una solida resistenza agli insorti sunniti. Ieri questi ultimi si sono rapidamente ritirati da Kirkuk. I loro obbiettivi per il momento guardano a Sud. Lo scontro con i curdi sarà rimandato al futuro.
Lorenzo Cremonesi

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