by redazione | 30 Giugno 2014 12:10
GHAZALYIA . Se mai entrerà a Bagdad a cavallo dei suoi fuoristrada, sceglierà questa strada, quella che sfocia in città provenendo da Falluja e dal triangolo sunnita, la direttrice che prima di disperdersi nei mille rivoli della metropoli attraversa Abu Ghraib. Il sobborgo, tristemente noto grazie agli orrori dei carcerieri americani, è a soli 15 chilometri da qui. Oltre però il pattuglione di militari e poliziotti iracheni che ci ha portato in giro a ispezionare il fronte per ora preferisce non avventurarsi. Lì ci sono i nemici, gli uomini del “califfo”. Perché ieri Abu Bakr Al Baghdadi, il capo dell’Isis, ha deciso di promuoversi “califfo di tutti i musulmani” e di creare quindi il califfato.
Nella mossa c’è una grande dose di propaganda, il tentativo di costruire una fascinazione politica e mediatica che paralizzi gli avversari e infiammi l’animo e i kalashnikov dei suoi sostenitori. E dietro la propaganda ci sono i fatti: a Tikrit, che il governo sciita sabato diceva di aver riconquistato, ancora infuria la battaglia. Di riprendere Mosul non se ne parla: l’esercito e i miliziani sciiti per ora circondano Bagdad, la pattugliano, ma a salire verso Nord o Ovest per strappare quel terzo di Iraq che ormai è fuori controllo non ci pensano neppure. Il califfato di fatto esiste. Non è una “invasione” di terroristi stranieri, è una rivolta dei sunniti agli otto anni di settarismo degli sciiti del premier Al Maliki. E quindi se il califfato per il momento non avanza, sicuramente resiste.
Facendosi nominare califfo dalla “Shura”, il consiglio del suo movimento, ovvero imperatore dei fedeli, sovrano dei sunniti discendente di Maometto e di quelli che dopo di lui hanno governato sia la religione che lo stato islamico, Al Baghdadi sembra rilanciare una sfida impossibile. La designazione, dice il portavoce dell’Isis in un filmato in rete, «è stata fatta dalla Shura che ha annunciato la formazione del califfato e la nomina del califfo». I nomi Iraq e Levante (Sham in arabo) scompaiono dal titolo dei movimento, che d’ora in poi si chiamerà solo “Stato islamico”.
Il califfato aveva avuto i suoi anni più felici con gli Ommaidi a cavallo del ‘700 e con gli Abbasidi dal 750 al 1517, per seguire poi i destini dell’Impero
ottomano. Il califfo che oggi vuole riconquistare Bagdad lancia segnali terribili a tutta la regione. La Turchia ha ammesso che di fatto il Kurdistan iracheno è l’unico mini-stato solido e alleato nell’Iraq e che quindi potrebbe diventare indipendente. Ieri lo stesso passo — riconoscere un Kurdistan indipendente — in qualche modo lo hanno fatto gli israeliani. Impegnato nella crisi dei tre ragazzi rapiti in Cisgiordania (forse proprio da una cellula di Hamas ispirata dall’Isis), il governo israeliano in questi giorni era rimasto silenzioso. Il premier Netanyahu adesso invece invoca la costruzione graduale di “una barriera di sicurezza anche ad Est, da Eilat fino alle alture del Golan” per arginare l’ondata dell’Islam radicale e dice che per Gerusalemme uno stato curdo in Iraq sarebbe un sicuro alleato contro i jihadisti del califfo.
L’esercito iracheno-sciita intanto continua la sua controffensiva,
inviando carri armati ed elicotteri a Tikrit. Ma tutto il territorio conquistato sinora dallo Stato Islamico rimane saldamente sotto il contro di Al Baghdadi e dei suoi alleati locali: le tribù sunnite tormentate per otto anni da Al Maliki e le cellule di baathisti di Al Douri che vogliono vendicare la morte di Saddam Hussein.
A Bagdad oggi i capi politici sciiti, curdi e sunniti eletti in Parlamento proveranno a negoziare per designare un successore del premier sciita Al Maliki e varare in pochi giorni un nuovo governo. Il vicepremier per il Petrolio Hussein al Shahristani (uno dei papabili per sostituire di Al Maliki) si è lamentato pubblicamente perché gli americani stanno facendo poco militarmente. «Quando il vostro alleato Israele ha avuto bisogno di aiuto avete fatto un ponte aereo per dargli le armi, a noi nulla», ha detto Al Sharistani inveendo contro il presidente statunitense Obama. Invece i russi di Vladimir Putin nel giro di pochi giorni hanno iniziato a consegnare all’aeronautica di Bagdad cinque aerei caccia Sukhoi: un fotografo della Reuters ha visto che i primi aerei, smontati, sono sbarcati da aerei cargo in un aeroporto militare della città. È da vedere se un esercito allo sbaraglio come quello iracheno abbia piloti in grado di manovrarli e le capacità d’intelligence, ricognizione e guida sugli obiettivi necessarie per attaccare.
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