Grano, petrolio e fede Sei anni di preparativi dietro l’avanzata dei jihadisti dell’ Isis
ERBIL. QUANDO i militanti islamici sono entrati a Mosul la settimana scorsa e hanno rapinato le banche di centinaia di milioni di dollari, aperto i cancelli delle prigioni e bruciato i mezzi militari, una parte della popolazione li ha accolti come liberatori, con tanto di lancio di pietre ai soldati iracheni in ritirata. Ma sono bastati due giorni ai combattenti dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria per imporre le dure norme della legge islamica in base alla quale intendono governare e per procedere a esecuzioni sommarie di agenti di polizia e operatori governativi. Il blitz ad opera di poche migliaia di combattenti spintisi fino a Mosul e più a Sud sembra aver colto di sorpresa i militari iracheni e americani, ma si tratta in realtà dell’esito
di un strategia di statebuilding che il gruppo porta avanti da anni senza farne alcun mistero, anzi, promuovendola pubblicamente.
«Oggi in Iraq assistiamo alla realizzazione degli obiettivi che l’ Isis si è posta dalla sua fondazione, nel 2006», spiega Brian Fishman, esperto di antiterrorismo della New America Foundation. L’organismo di cui parla, lo Stato Islamico dell’Iraq, è il predecessore dell’attuale Isis. Il gruppo estremista sunnita si è prefisso di ritagliarsi un califfato, cioè uno stato religioso islamico, che comprenda le regioni irachene e siriane a maggioranza sunnita, documentando ampiamente i progressi realizzati e addirittura pubblicando rapporti annuali sull’avanzamento della strategia.
Sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi, in passato prigioniero in una struttura di detenzione americana, il gruppo si è dimostrato violento e risoluto nel perseguire i propri obiettivi religiosi, ma anche pragmatico nello stringere alleanze e nel conquistare e cedere territori. È del 2007 un opuscolo che espone la visione del gruppo per il futuro dell’Iraq. La religione ha la precedenza sull’amministrazione e uno dei principali compiti dei militanti è liberare i sunniti dalle prigioni.
Ai tempi della guerra settaria iniziata nel 2006, i jihadisti si inimicarono la cittadinanza con i loro tentativi di imporre la legge islamica e subirono una serie di sconfitte per mano dei combattenti tribali aderenti alla campagna americana di controinsurrezione, che li costrinsero a ritirarsi dall’Iraq occidentale alle regioni attorno a Mosul. Ma con lo scoppio della guerra civile oltreconfine in Siria tre anni fa, il gruppo individuò nuove opportunità di crescita. Lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria «ha invaso la Siria da Mosul ben prima di invadere Mosul dalla Siria», dice Fishman.
Il gruppo si è rafforzato in Siria grazie a una doppia strategia che prevede da un lato attacchi con l’obiettivo di conquistare risorse come depositi di armi, pozzi di petrolio e granai, evitando dall’altro gli scontri prolungati con le forze governative che hanno polverizzato gli altri ribelli siriani. In Iraq, la resistenza del governo è crollata in molte zone conquistate. A sorpresa, come nel blitz su Mosul, il gruppo ha consolidato il proprio controllo su Raqqa, in Siria, da più di un anno e su Falluja, nell’Iraq occidentale, da sei mesi.
Nei primi mesi dell’anno Al Qaeda ha ripudiato il gruppo, dopo che il leader dell’organizzazione, Ayman al Zawahiri, ne aveva ordinato il ritiro in Iraq per lasciare le operazioni in Siria all’organizzazione locale affiliata ad Al Qaeda, il Fronte Nusra. La frattura ha portato a un’aspra rivalità tra i due gruppi e lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria è entrato in competizione con Al Qaeda per le risorse e per un ruolo preminente nella più ampia comunità jihadista internazionale.
Illuminante per comprendere l’idea che il gruppo ha di se è un video promozionale pubblicato recentemente dal titolo “Il suono delle sciabole”. Vengono mostrati combattenti barbuti, armati, provenienti da tutto il mondo arabo che ripudiano il loro paese d’origine strappando i passaporti, oppure in preghiera nelle moschee o manifestanti la propria fedeltà a Baghdadi. In altre scene si vedono i combattenti che sparano contro presunti appartenenti all’esercito iracheno, li inseguono per i campi, li catturano e quindi li giustiziano.
Il gruppo porta avanti strategie diverse calibrate per la Siria e per l’Iraq. In Siria si è concentrato soprattutto sulla conquista di territori già strappati al governo ma scarsamente controllati da altri gruppi ribelli. In Iraq ha sfruttato la delusione diffusa tra i sunniti rispetto al governo di Al Maliki, per allearsi con altri gruppi militanti sunniti, come un’organizzazione guidata da ex funzionari del partito baahtista di Saddam Hussein.
Benché molti di questi gruppi, inclusi i baahtisti ed altre milizie tribali si siano apparentemente unite all’Isis per combattere il comune nemico, l’organizzazione e le risorse del gruppo potrebbero invogliarle a stringere un’alleanza più duratura, rendendo ancor più arduo per il governo di Maliki ristabilire il controllo.
( © 2-014 New York Times News Service. Traduzione di Emilia Benghi)
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