Garantismo e veleni, il Pd si spacca
ROMA . La spaccatura del Pd segnala che un pezzo consistente del partito, con Berlusconi alle corde e il nuovo corso, sogna il tramonto della stagione giustizialista a sinistra. Il gruppo democratico si è trovato solo contro tutti ieri mattina. Ma sarebbe bastato per respingere l’emendamento sulla responsabilità civile dei giudici. Invece non ha retto dimostrando che il 41 per cento dei consensi tra gli elettori non è sufficiente per garantire il governo, Matteo Renzi, la maggioranza da incidenti parlamentari e divisioni interne. resta però il problema di fondo: bisogna “cambiare verso” anche nel legame tra magistratura e politica.
C’è quindi un pezzo di Pd garantista che ieri ha deciso di farsi sentire. «Il tema della giustizia c’è. Non si affronta così ma c’è», ammette il capogruppo alla Camera Roberto Speranza annunciando in pratica la fine di una fase durata vent’anni. C’è anche un pezzo di Pd che non vedeva l’ora di vendicarsi con le toghe dopo le inchieste sull’Expo e sul Mose. Forse c’è un pezzo di Pd che vuole dimostrare al segretario di contare ancora molto, almeno nelle aule parlamentari, tanto più dopo le polemiche sui ballottaggi e la disputa vecchionuovo. «Questo lo escludo. Come escludo una rivincita sui magistrati – spiega Speranza -. Per dire, Giachetti è un superenziano ma ha votato a favore del testo leghista. Anzi il suo intervento è stato una specie di tana libera tutti per il gruppo. E se si vota secondo coscienza, un gruppo di garantisti esiste anche nel Pd».
I numeri dicono che la questione non è affatto secondaria. Non è «una tempesta in un bicchiere d’acqua», come ha detto Renzi da Pechino. I deputati democratici presenti al momento del voto erano 214. L’emendamento è stato approvato con 187 voti favorevoli. Un Pd compatto lo avrebbe stoppato con non chalance. Secondo i calcoli più prudenti sono dunque 50 i dissidenti Pd che non hanno seguito le indicazioni del gruppo e del governo.
La confusione avvolge le motivazioni politiche di questa scelta. Mentre l’esecutivo finiva sotto, tutto l’emiciclo ha assistito a una violenta lite tra il sottosegretario Sandro Gozi e la responsabile Giustizia Alessia Morani (dunque renziana) che aveva mancato l’appello perché stava parlando a una trasmissione tv. Comunque, un quarto dei presenti ha voluto mandare un segnale. In maniera trasversale, con tutte le correnti Pd coinvolte. Puntando i magistrati, il governo, cavalcando la polemica sui ballottaggi. Nessuno si sente di escludere a priori alcuna pista. Anche perché, come nella vicenda dei 101 di Prodi, il voto segreto mette al riparo volti, nomi e storie. «La scorsa legislatura – dice ancora Speranza – i deputati del Pd si spaccarono alla stessa maniera. È la prova che la ragione sta solo nel tema giustizia. E nella sensibilità presente nel Pd per il problema della responsabilità civile». Lo dice anche Walter Verini, capogruppo nella commissione Giustizia di Montecitorio: «È stata colpa dell’improvvisazione. Un voto sbagliato. Bisogna trovare una soluzione che garantisca insieme l’autonomia della magistratura e i cittadini vittime di errori dolosi ». Significa cambiare una linea storica della sinistra, legata al ventennio berlusconiano.
Ecco, è arrivato il momento di voltare pagina nel rapporto sinistra- magistrati. Chiudere l’era del «collateralismo», come lo definisce qualcuno. «Il tema garantista è molto presente tra di noi – spiega il bersaniano Alfredo D’Attore -. Ma esiste anche il problema della corruzione che in Italia appare ormai fuori controllo. Se non teniamo insieme i due aspetti perdiamo la bussola ». È successo ieri nell’aula di Montecitorio. La rotta giusta è affidata alla riforma della giustizia che il ministro Andrea Orlando sta preparando e che nel crono- programma di Renzi va presentata entro fine mese. Il pasticcio è sotto gli occhi di tutti. Speranza e il vicesegretario Lorenzo Guerini sono arrivati sul filo di lana al momento del voto: erano sulla tomba di Berlinguer per i 30 anni della sua scomparsa.
Ben 80 deputati dem risultavano in missione, cioè assenti giustificati. Un po’ troppi. Persino la presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti era impegnata in un convegno. Ma bastavano i presenti, senza la spaccatura inattesa.
Rimane l’evidente frattura dentro il Pd. Le accuse a Giachetti si sprecano. Vengono dagli alleati della maggioranza e dal suo partito. Il vicepresidente della Camera renziano invoca la disciplina del gruppo sulla legge elettorale ma fa come vuole su altre leggi, è l’accusa che circola negli ambienti dem. Ma Giachetti ha scoperchiato il vaso. All’interno c’è il tema, vasto, della giustizia. Materiale che scotta.
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