by redazione | 3 Giugno 2014 8:05
È uno scontro fra titani, in quella che era stata bollata prematuramente come un’industria in via di estinzione: il libro. Per il controllo del mercato editoriale si sta combattendo una guerra senza esclusione di colpi. Come nell’escalation della deterrenza nucleare, ciascuno tenta di terrorizzare l’avversario accumulando un arsenale di distruzione di massa. Non si sottraggono neppure gli agenti letterari, professione che un tempo aveva una sua dimensione quasi artigianale: anche tra loro vanno di moda le maxi-fusioni planetarie. L’ultima si potrebbe descrivere come l’alleanza tra Saul Bellow e Gabriel Garcia Márquez.
Andrew Wylie, il più grande agente letterario americano e probabilmente mondiale (rappresenta tra l’altro Saul Bellow, oltre a un esercito di autori illustri che comprende Philip Roth, Salman Rushdie, Martin Amis) si è unito all’agenzia spagnola Carmen Balcells di Barcellona (che gestisce i diritti di Márquez, Mario Vargas Loosa, Pablo Neruda, e moltissimi altri). Nasce così una vera agenzia transnazionale con un raggio d’azione vastissimo soprattutto nei due mercati in lingua inglese e spagnola. Una concentrazione di creatività — e di business — che ricorda quella, spettacolare, di fine 2012, che ha rappresentato una svolta nel mercato globale: il “matrimonio” fra le case editrici Penguin (in origine di proprietà del gruppo britannico Pearson) e Random House (gruppo tedesco Bertelsmann), un’unione di interessi da 3 miliardi di euro di fatturato all’anno.
Un altro però è il conflitto tra giganti che appassiona gli scrittori, i media, gli esperti di diritto antitrust, e i tribunali americani. È l’ultima puntata di una battaglia economica e giuridica che oppone le più grandi case editrici mondiali e quella che molti definiscono la Piovra dei libri: Amazon. Ma i paragoni con il regno animale possono variare: il New York Times ha scelto il piranha, pesce carnivoro e aggressivo che infesta il Rio delle Amazzoni, per illustrare un commento sulle mire di Amazon. Il New York Times fa parte di una schiera di “spettatori impegnati”, che osservano la battaglia e propendono per gli editori di libri, se non altro per il timore che incute il semi-monopolio di Amazon. Anzi: monopsonio. È questo il termine usato dal giurista Bob Kohn, uno degli esperti che intervengono sul New York Times . Nei manuali di economia il monopolio designa un’impresa che è riuscita a fare il vuoto attorno a sé fino ad essere l’unica che offre un certo bene in vendita; e a quel punto, senza concorrenti, fissa i prezzi che vuole. Il monopsonio descrive invece una situazione simmetrica ed opposta in cui c’è un solo acquirente: dunque sono i venditori ad essere dominati, perché l’acquirente unico decide i prezzi. Il monopsonio descrive meglio Amazon. Il colosso del commercio online non è ancora «l’acquirente unico all’ingrosso », tuttavia è il canale distributivo di gran lunga dominante per gli editori, visto che ormai controlla il 41% di tutte le vendite di libri sul mercato americano, e arriva al 65% delle vendite su Internet.
Gli editori, soprattutto quelli americani, denunciano da anni gli effetti di questa posizione dominante: Amazon pretende sconti esosi che li metterebbero fuori mercato; d’altronde il fondatore del colosso digitale Jeff Bezos ha tra i suoi piani espliciti quello di sostituirsi agli editori instaurando un rapporto diretto con gli autori. Quando le cinque maggiori case editrici Usa tentarono di divincolarsi dall’abbraccio soffocante di Amazon, e strinsero un’alleanza con Apple per mettere gli ebook in vendita tramite iTunes, mal gliene incolse:
furono loro a subire i fulmini dell’antitrust, per intesa oligopolistica (gli ebook venivano venduti a prezzi superiori nel negozio digitale iTunes, rispetto alle tariffe che pratica Amazon per chi scarica i libri sul suo tablet Kindle).
Nell’ultimo capitolo di questa battaglia, l’aspetto più inquietante sono le forme di ritorsione e di castigo che Amazon ha sfoderato. Il primo a farne le spese fu l’editore Macmillan che aveva respinto alcune condizioni contrattuali di Amazon: improvvisamente sul sito online scomparve l’icona “compra”, sulla quale si clicca per procedere con l’acquisto, a fianco ai libri Macmillan. Più di recente queste tattiche hanno colpito il gruppo Hachette, uno dei più esposti nel braccio di ferro tra editori e Amazon. I libri Hachette hanno cominciato a scarseggiare, i magazzini Amazon ne risultavano sprovvisti, le loro consegne erano sistematicamente in ritardo.
È difficile commuoversi per il destino dei mega-editori, a loro volta dei Moloch che hanno fatto sparire senza scrupoli centinaia di piccole case editrici, hanno trasformato il libro in un business come tutti gli altri. C’è una sorta di nemesi storica, simile a quella che ha colpito Borders e Barnes&Noble, le catene di librerie-supermercato, sempre più anonime e standardizzate, le quali fecero fallire i piccoli librai per poi soccombere alla Piovra Amazon. Resta il fatto che rispetto al livello di concentrazione che Amazon rappresenta nelle vendite, il fronte della produzione editoriale resta molto più frammentato. Bisogna addizionare fra loro le dieci maggiori case editrici mondiali per arrivare a una quota del 55% delle vendite, e questa quota è in leggera diminuzione negli ultimi anni (era il 57% nel 2011). Una delle ragioni per cui la quota dei dieci big è in arretramento, è l’avanzata di nuovi editori delle nazioni emergenti, dove gli indici di lettura stanno salendo.
Come illustra il rapporto 2013 (stilato su dati 2012) di Publishers Weekly , tra le prime 60 case editrici mondiali se ne sono aggiunte due cinesi e una russa, in un solo anno. Al primo posto assoluto c’è il gruppo britannico
Pearson (con un fatturato pari a oltre 9 miliardi di dollari); secondo il colosso anglo-olandeseamericano Reed Elsevier (quasi 6); terzo il nordamericano Thomson Reuters (5 miliardi e 300 mila circa). È chiaro che queste cifre ancora non tengono conto delle conseguenza della nascita del maxipolo tra Penguin (in origine nel gruppo Pearson) e Random House. Mentre è interessante notare che nella graduatoria il primo gruppo italiano è la De Agostini, in tredicesima posizione, molto più in alto della Mondadori che è solo trentacinquesima.
Nel frattempo, nei paesi sviluppati, non è la narrativa ad attirare gli “appetiti” del business editoriali: gli utili più alti si fanno nel settore dell’editoria tecnica, scientifica, professionale. Proprio quelli dove Amazon potrebbe avere più facilità ad attirare gli autori verso un rapporto diretto. Gli scrittori di narrativa e i saggisti americani sono fin qui piuttosto diffidenti della Piovra, molti di loro hanno preso posizione contro l’espansionismo di Bezos. La storica Amanda Foreman arriva a paragonare questa guerra a quella che oppose la Chiesa contro Gutenberg: a parti invertite, però, perché stavolta è l’editoria a trasformarsi in un monopolio. Il paragone con i metodi dell’Inquisizione, viene suggerito alla Foreman dal fatto che Amazon ha stabilito una “lista nera” di autori Hachette da boicottare per mettere in ginocchio la casa editrice. Come ai tempi dell’Indice e degli autodafè.
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