Fiscal compact più morbido e grandi opere nel nostreo semestre Ue

Fiscal compact più morbido e grandi opere nel nostreo semestre Ue

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La rete dei contatti fra governi in vista della presidenza italiana della Ue sta entrando nella fase frenetica. Ma quando si tireranno le somme, nel 2015, il fattore determinante magari non risulterà Matteo Renzi o la nomina del prossimo presidente della Commissione. Piuttosto, sarà stata Marine Le Pen: è il successo dell’estrema destra francese alle europee che sta inducendo in Europa, Berlino inclusa, riflessioni in parte diverse da prima.
L’agenda delle riforme per dare a ciascun Paese più capacità di competere e conti pubblici meno malsani resta in piedi. Ciò che si è aggiunto è una presa d’atto che, senza una spinta sugli investimenti e un attacco alla disoccupazione, la Francia rischia di trovarsi ostaggio del fattore Le Pen alle presidenziali del 2017. E neanche la Germania di fatto egemone di Angela Merkel può permettersi un’Unione europea senza Francia, o con Parigi paralizzata dal Front National.
È questo lo sfondo che aiuta a dare un ritmo più operativo al giro delle capitali iniziato di recente da Pier Carlo Padoan. Il ministro dell’Economia è stato giovedì a Berlino dal suo pari grado Wolfgang Schaeuble, e prima ancora a Madrid, Parigi, Londra e l’Aia. In parallelo Sandro Gozi, sottosegretario alla Politiche europee, vede gli sherpa di Merkel e di quasi tutti gli altri governi.
Non è detto che i risultati arriveranno.
Non sarebbe la prima volta in Europa che grandi tournée diplomatiche in vista di un rito in agenda finiscono per incidere poco sulla realtà. Di nuovo, c’è però proprio lo choc che i risultati in Francia hanno trasmesso ai leader dell’area euro.
È anche a partire da lì che Padoan, con l’appoggio di Gozi, cerca di costruire un doppio binario su cui spingere il sistema verso scelte che portino un po’ più di crescita in tempi rapidi.
Né a Berlino né altrove il ministro ha proposto di sospendere o allentare le regole di bilancio del Fiscal Compact: sa che non sarebbe accettato, né probabilmente ci crede lui stesso. L’idea di Padoan è però di vincolare in modo stringente gli impegni di bilancio presi a Bruxelles con un’agenda di riforme nazionali, anch’essa concordata nei dettagli a Bruxelles. Il nostro Paese potrebbe ottenere più tempo per ridurre il debito pubblico e altre capitali europea potrebbero averlo per il deficit. In contropartita, ogni governo deve impegnarsi su un programma preciso di interventi e l’agenda di questo programma non verrebbe lasciata al caso: essa andrebbe scritta e messa in prati-
ca in base alle raccomandazioni della Commissione e del Consiglio Ecofin (ministri finanziari) per ciascun Paese.
Per l’Italia significa approvare le riforme del lavoro, della giustizia, l’apertura dei mercati dei servizi o i tagli di spesa di cui ha parlato la Commissione europea la scorsa settimana: in altri termini, fare ciò che finora non è riuscito a nessun governo. L’attuazione verrebbe verificata e monitorata di continuo anche da Bruxelles, ma se passa l’esame, il governo avrebbe più tempo per far calare il debito. E poiché il Fiscal Compact prevede di ridurlo del 3% del Pil ogni anno dal 2016, con dosi crescenti di austerità, l’offerta non è priva di interesse.
C’è poi il secondo binario, accanto a quello del patto fra tolleranza sui conti e riforme. Padoan pensa a come lanciare nuovi progetti di investimenti in grandi opere europee, soprattutto nelle reti di trasporti ed energia. Quel tipo di interventi potrebbe assorbire molta disoccupazione ma, visto lo stato della finanza pubblica, va fatto senza pesare troppo sui governi. La Banca europea degli investimenti (Bei) può svolgere un ruolo, ma è difficile che acceleri i prestiti ora che è nel pieno dell’aumento di capitale da 10 miliardi deciso due anni fa. Un’ipotesi in circolazione è che non si conti nel deficit ai fini del Fiscal Compact la spesa nazionale in progetti cofinanziati (o certificati) dalla Bei. Una seconda ipotesi, più accettabile per i tedeschi, è che i fondi europei vengano usati in modo coordinato in Europa per co-finanziare opere di trasporto o di reti dell’energia. Accanto a quelli si spera di attrarre finanziatori privati, con emissioni di titoli per lanciare progetti specifici. Ora che i tassi d’interesse sono ancora molto bassi, può funzionare.
A Berlino non ci sono chiusure all’idea di favorire grandi investimenti per l’occupazione, ma molti paletti restano. Sulla base dell’esperienza, la Germania diffida di come vengono spesi i fondi europei in Italia e altri Paesi: ora Berlino vorrebbe che la Commissione avesse più potere di dire alle capitali in quali progetti investirli, e come. Tra pochi giorni arriveranno dal governo di Angela Merkel controproposte all’iniziativa dell’Italia.
Il cantiere della presidenza italiana è aperto, e il settore più avanzato riguarda proprio lo scambio fra riforme per diventare competitivi e più flessibilità sui conti. Padoan ci sta lavorando molto, perché sospetta che un’altra occasione per muovere questo passo non si ripresenterà presto. Tra poco tocca a Renzi. E solo allora si vedrà se il premier vede nel suo ministro dell’Economia un protagonista di governo, o solo l’ambasciatore delle priorità ed emergenze di Palazzo Chigi.



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