by redazione | 22 Giugno 2014 19:37
Si avvicina il boia per i leader dei Fratelli musulmani egiziani. La Corte penale di Giza ha confermato la condanna a morte per la guida suprema del movimento, Mohammed Badie, l’ex segretario del partito Libertà e giustizia, Mohammed Beltagy, e il dirigente Safwat Hegazy, che sarebbero colpevoli degli scontri intorno alla moschea Istiqama, dopo il colpo di stato militare del 3 luglio scorso.
Non solo, la Corte penale di Minya ha confermato la pena di morte per 183 degli oltre 700 islamisti, condannati in primo grado, per i violenti scontri che hanno avuto luogo nella città lo scorso agosto, dopo lo sgombero del sit-in islamista di Rabaa al Adaweya. Solo il gran muftì della moschea di Al Azhar ha ora il potere di grazia. Amnesty International ha chiesto la cancellazione immediata della sentenza.
Ma anche la sorte degli attivisti laici non è meno funesta. Il blogger Alaa Abdel Fattah è stato condannato a 15 anni di reclusione per aver violato la legge anti-proteste dopo aver partecipato a una manifestazione pacifica contro la norma che impedisce le contestazioni, lo scorso novembre. L’attivista socialista indipendente ha subito censure e lunghi periodi di reclusione durante la fase di transizione gestita dalla giunta militare (2011–2012), è stato messo sotto inchiesta nell’anno di governo islamista e ha passato cento giorni in carcere con l’ultimo governo ad interim. Per richiedere la cancellazione della legge anti-proteste e il rilascio dei detenuti politici, 6 aprile, i Socialisti rivoluzionari ed Egitto forte hanno marciato ieri verso il palazzo presidenziale al Cairo. Rilascio invece per il giornalista di Al Jazeera, Abdallah El Shamy, per le sue gravi condizioni dopo mesi di digiuno.
Si è già insediato invece il secondo governo, targato Ibrahim Mahleb, uomo di Mubarak e premier ad interim uscente. Non ci sono novità di rilievo nel nuovo esecutivo: restano in sella il ministro della Difesa (carica centrale per gli equilibri di potere secondo la nuova Costituzione), Sedki Sobhi, e il sanguinario ministro dell’Interno, Mohammed Ibrahim. Spicca invece il nome del nuovo ministro degli Esteri, Sameh Shoukry, dal 2008 al 2012 ambasciatore egiziano negli Stati uniti. Non solo, è stato dissolto il ministero dell’Informazione (responsabile di controllo e censura di centinaia di attivisti anti-regime) per creare il consiglio supremo dell’Informazione, i cui poteri non sono ancora chiari.
Per risolvere poi la crisi energetica, dopo gli attacchi jihadisti ai gasdotti nel Sinai e lo stop all’esportazione di gas verso Israele e Giordania (2012), le imprese energetiche Usa (Noble) e l’israeliana Delek si sono impegnate a rimettere in moto il mercato energetico egiziano, riattivando la produzione dei gasdotti, fermi o a basso regime dall’avvio delle rivolte. L’idea è nata anche in seguito alle scoperte di gas nelle acque del campo Tamar. E così in maggio è stata approvata una lettera di intenti tra Union Fenosa Gas (di cui fa parte Eni), che opera negli impianti di Damietta e Tamar. L’ Egitto è il secondo produttore di gas in Africa, grazie alla gestione del Canale di Suez e della Suez-Med Pipeline. L’accordo potrebbe risolvere i continui problemi energetici del paese. Rimettere in marcia le esportazioni di gas potrebbe comportare però nuovi tagli alla spesa pubblica e al sistema dei sussidi, metterendo in ginocchio la fragile economia del paese.
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