Droghe, il fallimento è in cella
Dal 2006 a oggi una persona su tre che ha varcato le porte del carcere lo ha fatto per aver violato le norme sugli stupefacenti, quella famigerata legge Fini-Giovanardi che la Corte costituzionale nel febbraio scorso ha disinnescato, dichiarando illegittimo il suo core business, l’equiparazione tra droghe pesanti e leggere. Dando poi uno sguardo dentro le celle sovraffollate che sono costate all’Italia una condanna da parte del Consiglio d’Europa, ci si accorge che per problemi di droghe giacciono oltre le sbarre quattro detenuti su dieci (imputati o condannati che siano), di cui il 74% per il solo reato di detenzione e spaccio (art. 73), il 23,7% è tossicodipendente e solo il 3,3% sconta una pena o la carcerazione preventiva per associazione finalizzata al narcotraffico. In sostanza, il 30–40% dei reati di droghe è di «lieve entità», e su sette persone che li commette sei sono stranieri.
Dunque una bella retata di pesci piccoli, un bel risultato per una legge che viaggiava sulla scia proibizionista della war on drugs che in un decennio avrebbe ripulito il mondo della droga, come prometteva nel 1998 il democratico Pino Arlacchi, allora capo dell’apposita agenzia Onu. Inoltre, non va meglio fuori la cinta muraria degli istituti di pena: quasi l’80% di chi si ritrova nell’elenco dei segnalati alla prefetture per uso personale di stupefacenti è un “onesto” consumatore di cannabis. E sul totale delle denunce, il 45% è per cannabinoidi. Le sanzioni amministrative sono poi aumentate di un terzo ed è diminuito il numero di tossicodipendenti affidati ai servizi sociali. Di più: «prima del 2006 la maggioranza delle misure alternative al carcere era concessa dalla libertà, dopo invece la maggioranza delle persone che ottengono l’affidamento passano prima dal carcere».
A stilare questo impietoso bilancio di una delle normative più carcerogene della Repubblica – l’ultimo grazie alla Consulta – è il «Quinto libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi» pubblicato da La Società della Ragione, il Forum Droghe, Antigone e il Cnca, con l’adesione della Cgil, della Comunità di San Benedetto al Porto, del Gruppo Abele, di Itaca, Itardd, Lila, Magistratura Democratica e l’Unione delle camere penali italiane. «È il ritorno alla centralità del carcere», sintetizzano gli autori del dossier.
L’occasione la dà la Giornata internazionale della lotta alla droga che si celebra in tutto il mondo oggi. Ma nel mondo, come ha sottolineato la segretaria dei Radicali italiani, Rita Bernardini, in una lettera aperta inviata a Matteo Renzi, al Guardasigilli Orlando e alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin, le politiche e l’ideologia proibizionista hanno dato e danno tuttora un contributo pesantissimo all’applicazione della pena di morte. Per questo Bernardini, tra le altre cose, ha chiesto nella sua lettera di indire per il prossimo autunno la sesta Conferenza nazionale sulla droga, come prevede – disattesa – la stessa legge, il testo unico 309/90. «Un appuntamento da utilizzare anche per una riflessione senza paraocchi sul fallimento delle politiche proibizioniste, in Italia come nel resto del mondo». Si uniscono alla richiesta anche sei deputati del Pd, compreso il capogruppo in commissione Giustizia Valter Verini, che in un’interrogazione parlamentare presentata alla Camera pongono a Renzi dieci interrogativi in materia di droghe e penalità, e al governo chiedono di «provvedere alla nomina del sottosegretario competente del Dipartimento per le politiche sulle droghe e del direttore scientifico dello stesso Dipartimento», dopo la non definitiva destituzione dell’attuale capo, Giovanni Serpelloni. Per gli autori del «Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi», «è necessario il superamento dell’attuale e fallimentare modello autocratico del Dipartimento anti-droga, da sostituirsi con una cabina di regia che veda coinvolti tutti gli enti e tutte le istituzioni (nazionali, regionali e locali) competenti per una nuova politica sulle droghe, ivi comprese le associazioni del privato-sociale e quelle rappresentative delle persone che usano sostanze, i cui saperi e le cui esperienze costituiscono risorse collettive che i policy makers e i servizi rivolti alle dipendenze devono riconoscere e valorizzare».
Convocare entro l’anno la Conferenza nazionale «dimenticata dall’ultimo zar anti-droga» è fondamentale perché anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale, «la strage continua», come hanno sottolineato ieri Stefano Anastasia e Franco Corleone presentando il Libro bianco. Infatti, i consumatori continuano ad essere criminalizzati in quella sorta di delirio «correzionalista» che Patrizio Gonnella, nel suo recente bel saggio intitolato «Carcere, i confini della dignità», descrive come «l’idea secondo la quale attraverso la pena carceraria il detenuto vada corretto nella sua indole deviante». E «la strage continua» anche a causa della «scandalosa detenzione di condannati a pene giudicate illegittime dalla Corte costituzionale – aggiungono Corleone e Anastasia – e che meriterebbero, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, di vedersi rideterminata la pena dal giudice dell’esecuzione». Si sarebbe dovuto «intervenire per decreto», ragionano i curatori del dossier di bilancio sulla Fini-Giovanardi, «o addirittura approvare un indultoad hoc, e invece i singoli detenuti sono stati lasciati a se stessi, con il risultato che o gli uffici giudiziari saranno intasati dal ricalcolo delle pene o molte persone finiranno di scontare in carcere la loro pena ingiusta». A questo punto, spiegano gli autori del Libro bianco, «serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo» e «una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis», infine «il rilancio dei servizi per le dipendenze».
Sì, perché se le operazioni delle forze dell’ordine contro la diffusione di marijuana e hashish sono aumentate del 35% rispetto al 2005 mentre si sono ridotte quelle di contrasto allo spaccio di cocaina, eroina e droghe sintetiche, di contro c’è stato il crollo delle richieste dei programmi terapeutici, passati da 6.713 nel 2006 a 214 nel 2013. E pensare che un detenuto costa allo Stato 124 euro al giorno (tutto compreso), mentre una persona in trattamento in una comunità semiresidenziale ne costa 25 (tutto compreso).
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